Rivista femminile Ladyblue

Individuazione dei rapporti proporzionali della silhouette. Come rapportarsi alla figura dello “spirito dell’esilio” ribelle, l’immagine di Tamara, donna terrena, non si capisce…

L'immagine del demone, cioè un angelo espulso dal paradiso, appare una volta nei testi di Lermontov (promessamente, le riflessioni sul cielo e sulla terra, sugli angeli e sui demoni erano compagni costanti di Lermontov. Il risultato di queste riflessioni fu la poesia “Il demone. " Il poeta lo ha modificato otto volte, il che mostra come ha costantemente "affinato" il suo lavoro, cercando di dargli una forma impeccabile. Senza dubbio, ci è riuscito.

L'immagine del demone con le sue passioni disumane, mente chiara, fredda, eloquenza, con la sua eterna grande sofferenza è rimasta una delle immagini artistiche più forti della letteratura russa. Il carattere del Demone è poliedrico: è ribelle e intransigente, esperto e saggio, bello e astuto. Allo stesso tempo, vive in lui l'insoddisfazione non solo del mondo, ma anche di se stesso, una sete appassionata degli ideali di “amore, bontà e bellezza”. Pertanto, l'eroe di Lermontov non è solo l'incarnazione dell'oscurità:

Non eri uno spirito terribile dell'inferno,

Martire feroce - oh no!

Sembrava una serata limpida:

Né giorno né notte, né tenebre né luce!..

Il demone si innamorò di una donna terrena, Tamara. Inoltre, il suo amore non è l'affetto ordinario di un uomo per una donna, ma proprio il sentimento di un demone, cioè una creatura ultraterrena, eterna:

Ti amo con tenera passione,

Come non puoi amare:

Con tutta l'estasi, con tutto il potere

Pensieri e sogni immortali.

L'amore per Tamara lo trasforma. Gli sembra già di aver conservato questa immagine nella sua anima “fin dall'inizio del mondo”. Questo amore gli fa riconsiderare la sua esistenza:

Appena ti ho visto -

E segretamente improvvisamente ho odiato

L'immortalità e il potere sono miei.

Ero geloso involontariamente

Gioia terrena incompleta...

Ma non importa quanto l'eroe si sforzi per l'amore, per l'oblio, rimane un demone, cioè l'incarnazione del male. E non importa quanto voglia “fare pace con il cielo”, è già stato rifiutato da Dio: la sua sorte è l'eterno vagabondaggio. L'eroina non osa resistere alla passione del Demone e muore per il suo bacio.

Nella poesia di Lermontov coesistono due mondi. Tamara appartiene al mondo terreno della natura, della gioia e della bellezza. Non per niente l'autore, parlando di Tamara, sottolinea alcuni dettagli quotidiani. Una chiara conferma di ciò: la sua danza, che ci mostra una donna terrena con sentimenti terreni. Il Mondo dei Demoni è astratto, è un mondo di pura conoscenza, infinito, eternità. La tragedia del Demone sta nella separazione di questi due mondi. La disunità dà origine alla catastrofe con cui si conclude la poesia. Tamara morì per sempre, il Demone rimase per sempre infelice. Inoltre abbandonò i suoi sogni di riconciliazione con il cielo, li maledisse:

E ancora una volta rimase, arrogante,

Solo, come prima, nell'universo

Senza speranza e senza amore!..

Tamara è stata portata in paradiso da un angelo. Se lo guardi obiettivamente, allora Tamara non è “salvata” e il Demone non è dannato. Entrambi ritornano semplicemente allo stato in cui si trovavano all'inizio. Lei - alle origini del "paradiso", lui - ai suoi eterni vagabondaggi. Questa è la dialettica dell'universo. Lermontov ne ha parlato più di una volta. Un'espressione della visione del poeta della struttura del mondo è il giuramento del Demone. Oltre al fatto che questo è un esempio di eloquenza veramente “diabolica”, il giuramento ci mostra la duplice comprensione della realtà da parte del Demone: giuro sul primo giorno della creazione, giuro sul suo ultimo giorno, giuro sulla vergogna di delitto e trionfo della verità eterna...

"Decomposizione -
il destino di tutte le cose composte.
Lavorare duramente"

Siddhartha Gautama

"Quando sarai morto e bruciato,
e le tue ceneri sono sparse, dove sei allora?

Rinzai.

* * *

“Cartesio... è il precursore della filosofia della soggettività e della negazione”, dice Maurice Merleau-Ponty, “ma fu solo un pioniere e abbandonò la negatività quando alla fine proclamò che il pensiero dell'infinito precede il pensiero del finito e che ogni pensiero negativo è ombra in una giornata limpida."

Supponiamo quindi che la menzione delle “figure di Cartesio” nella poesia di Alexei Tsvetkov si riferisca alle origini del pensiero negativo della New Age, che annunciava il diritto del soggetto come sostanza pensante, sostituendo gradualmente il concetto teologico dell'anima. Anche da una conoscenza superficiale nell'articolo enciclopedico dei fondamenti del pensiero cartesiano, che ha risvegliato, da un lato, la filosofia del razionalismo e, dall'altro, la filosofia soggettivista, possiamo concludere che le contraddizioni tra loro saranno portate alla luce limite nella poesia di Alexei Tsvetkov, fino all'assurdità logica, alla distruzione di entrambi, senza alcuna alternativa per la metafisica o la teologia. Non gli sono rimasti né soggetto né oggetto. Da qui il “buco” come metafora della non esistenza, in cui sia la res extensa (sostanza estesa) che la res cogitans (sostanza pensante) vengono annientate.

"C'è il nulla?" - poniamo di nuovo la vecchia domanda di Parmenide dal suo poema “Sulla natura”, che divideva la coscienza sia degli Elleni che degli Europei. "Nessuno può dimostrare che esiste la non-esistenza." Ciò che non puoi sentire nella poesia di Tsvetkov è interrogarsi o chiedere, almeno retoricamente, diciamo: "cos'è l'essere?", "cos'è la morte?", "cosa sono io?" - da esso iniziano sia il giudizio poetico che il pensiero filosofico, espresso o in intuizioni o in concetti.

Si potrebbe pensare che la poesia russa abbia dimenticato come fare entrambe le cose, o che non abbia fornito alcun esempio di tale pensiero. Mai prima d'ora l'orrore del nulla ha offuscato la mente di una musa russa. Ricordiamo i nomi di Sluchevsky o Boratynsky... Come se non raggiungessero l'orlo dell'abisso e non fossero inorriditi dalla prospettiva della distruzione. "Oh, tutto scomparirà a modo suo nell'abisso degli anni! / Per tutti esiste una legge: la legge della distruzione, / In ogni cosa sento un saluto misterioso / Dell'oblio promesso!" Da questo preciso momento sono iniziati non solo i loro lamenti filosofici, ma anche le riflessioni poetiche.

Cosa impedisce al linguaggio moderno di pensare? È solo il linguaggio del famigerato postmodernismo? Non ci crediamo! Dopotutto, Yunna Moritz, una delle eroine romantiche della poesia di Alexei Tsvetkov, scrive dello “scoppio esempio personale“, quando “la forza perduta dello spirito non può essere recuperata”, quando “il fango scorre nel fiume del tempo, e un genio piange come un bambino.” (“Reading Faust”, 1976). Questa poesia sembra avere una premonizione di tutto ciò che riguarda la vita successiva di Tsvetkov. Questo si legge soprattutto nei versi in cui risuonano orrore, ironia e disgusto: “Dal dolore cade nel delirio, / La sua coscienza triplica - / Quindi l'intero ritratto è capovolto / Di tutto quello che sta succedendo qui: // Il mondo è sottosopra, madre, padre, / La luna e la casa, la candela e il bastone, / E il Tempio è posto sull'osso sacro, / E i pastori sono nelle pose più pietose!// È davvero possibile bere da questa pozzanghera, / e assaporarlo, e aspettare ancora? / Essere in due boccali? O non esserlo? - / I brandelli di birra sono acidi nel negozio. / Sorrisi delle stelle, ondate di risate, / Singhiozzo della palude verde - / Tutto ad una cosa: che la Vita è un tocco, / Un incidente nell'eternità eterea..."

Qui viene presentato un quadro quasi secondo Hegel: “die verkehrte Welt”: il mondo alla rovescia, un mondo capovolto in cui la coscienza è triplicata: orrore, ironia, disgusto. Ricordando che il drammatismo hegeliano che permea la “Fenomenologia dello spirito” risuona largamente con la tragedia del “Faust” di Goethe, allora la nostra allusione può avere carattere legittimo. E se teniamo conto che nella poesia di Tsvetkov la categoria “caso” è opposta alla categoria “legge”, allora abbiamo motivo di attirare all'introspezione anche le tragedie greche, in cui l'illegalità degli eroi, che hanno una propria verità soggettiva , che risuona di simpatia nel cuore del pubblico, si conclude con la loro inevitabile morte. Parlando della morte dell'individuo, notiamo che essa avviene nel discorso stesso del poeta, scomparendo nel flusso generale della poesia. E in questo senso ha ragione Lautréamont quando sostiene che la poesia è creata da tutti, non da uno solo. Quindi il postmodernismo dice la stessa cosa. Il discorso del poeta cessa di essere personale e rientra nella corrente principale generale.

A proposito, Yunna Moritz ha un'altra poesia del 1979, in cui, da un lato, c'è un motivo ripetuto in quella stessa poesia "di pietra" di Alexey Tsvetkov, e dall'altro ci promette un completamente rinnovato, rinato , autentico poeta Alexey Tsvetkov, che deve, secondo la legge di Hegel, disprezzare il suo frutto marcio e far germogliare un nuovo albero.

Non possiamo rimproverare al poeta la mancanza di coraggio o di saggezza, a noi stessi mancano queste qualità, ma vediamo che la sua poesia è diventata ostaggio di un certo modo, nemmeno di pensare in quanto tale, ma di un modo di espressione che mina e sostituisce pensiero e che i critici artistici "ragionano utilmente" viene chiamato "nuevo". Ha un'affermazione inequivocabile, un messaggio, un messaggio, per così dire, per l'intero corpus delle poesie successive. In relazione all'essere, solo il “tempo” entra nell'attenzione del poeta, e quindi senza connessione con l'essere, e quindi acquisisce un carattere escatologico. C'è un certo pregiudizio dogmatico in questo messaggio, che indica una mente chiusa. Leggi, ad esempio, la poesia “La vita in un barattolo”. In combinazione con il nichilismo soggettivo della sua poesia, che, come al solito, tende all'universalità filosofica, assisteremo alla formazione non tanto della “coscienza infelice” del poeta quanto della filosofia del nichilismo dogmatico come sindrome post-romantica che improvvisamente ha rivelato un modo di esprimersi in stile “nuevo”. Ciò che per noi è essenziale nella poesia: come il poeta mette insieme le parole oppure: cosa dicono?

Il metodo non può andare contro il significato. Altrimenti avremo un vettore negativo nell'esistenza umana. Anche qui ci troviamo di nuovo in difficoltà. Il modo o il modo di espressione è determinato dallo scopo. Qual è lo scopo della poesia? Ad esempio, Hegel, caratterizzando il modo di conoscere la matematica, che “è orgoglioso e si vanta della filosofia”, spiega la sua imperfezione con la “povertà del suo obiettivo”, vale a dire: “lo scopo della matematica o il suo concetto è la grandezza”. Chiariamo la questione: quale dovrebbe essere l'unico obiettivo possibile della poesia? Dal contenuto rivelato nella poesia di Alexei Tsvetkov, questo obiettivo è l'inesistenza e nient'altro. Qual è il materiale a disposizione della poesia su cui fa affidamento per comunicare qualcosa sul vero e sul falso? "La materia rispetto alla quale la matematica fornisce una fornitura soddisfacente di verità è lo spazio e l'unità di conteggio", dice Hegel.

Il materiale per la filosofia sarà il reale. E lo stesso vale per la poesia. Soltanto la sua realtà è l'esistenza sensuale, e il suo metodo di pensiero è la coscienza sensuale. Essendo sullo stesso campo, sono in conflitto per l’autocrazia, per il discorso sulla realtà. E come si inserisce la non esistenza nel reale, come si relaziona con esso, tanto da diventare l'obiettivo di un'affermazione poetica? Nella poesia di Alexei Tsvetkov, tutto ciò che è reale è collocato nel contesto dell'irreale, dell'onirico e dell'assurdo; e invece di “esistenza esistente”, secondo il principio di sostituzione, la non-esistenza viene presentata come reale e attuale.

Se la filosofia è “elemento di universalità” (Hegel), anche la poesia ha cessato di essere “elemento”, ma di soggettività. Entrambi sono diretti alla verità. Le loro strade sono diverse ed è importante rendersene conto, ma non opporsi. "...Se il vero esiste solo in Quello, o, per meglio dire, solo come ciò che si chiama intuizione (Anschauung), allora la conoscenza diretta dell'assoluto, la religione, l'essere - non nel centro dell'amore divino, ma nell'essere di questo centro stesso - allora "Da ciò è chiaro che l'esposizione della filosofia richiede piuttosto ciò che è contrario alla forma del concetto. L'assoluto non deve essere compreso in un concetto, ma deve essere sentito o contemplato; non suo concetto, ma il suo sentimento e la sua intuizione devono prendere la parola e parlare", scrive Hegel nella prefazione della Fenomenologia dello spirito, propugnando una forma scientifica della verità (il primo passo verso il quale fece Cartesio) in una disputa con la filosofia filosofica. i romantici Schlegel e Schleiermacher.

Con tutta la sua filosofia, Hegel si sforza di superare le contraddizioni kantiane, il dualismo tra razionale e sensuale, cosa in sé e fenomeno, trascendentale e trascendentale. E dove si colloca la poesia con la sua autenticità sensoriale? Che ruolo dovrebbe svolgere o che posto dovrebbe avere in questo dibattito filosofico? Dovrebbe accontentarsi della posizione di una “coscienza infelice” che soffre dei limiti della ragione ordinaria? La poesia stessa, cioè i poeti stessi, devono rispondere a queste domande, almeno attraverso domande retoriche. La nostra idea si basa sul fatto che la poesia è una forma soggettiva della formazione dello spirito nel linguaggio in generale e nel discorso dell'autore in particolare.

Da questo punto di vista, nella “Fenomenologia dello spirito” di Hegel, è in qualche modo spiegabile ciò che sta accadendo nella poesia moderna, quale disputa anti-intellettuale. Usando la metafora della poesia come vino, possiamo dire che per ora vediamo la polpa dell’uva schiacciata dai piedi del poeta, strappata dalla vigna e gettata nella tinozza. Ciò deve avere ancora un lungo processo davanti a sé formazione, prima di apprezzarne l'aroma e il gusto, l'astringenza e la viscosità. "Lo spirito si rivela così povero che, per rinascere, sembra aspirare solo a un magro senso del divino in generale, come un eremita sabbioso a un sorso di semplice acqua. Di ciò di cui lo spirito si accontenta, si può giudicare l’entità della sua perdita”.

E, parafrasando l'affermazione di Hegel sullo spirito, per analogia diremo che la poesia di Alexei Tsvetkov sembra "elevarsi al di sopra della vita sostanziale che precedentemente conduceva negli elementi del pensiero", ma non solo va oltre i limiti di ogni certezza sensoriale di l’esistenza “verso la sua riflessione in sé priva di sostanzialità, ma anche oltre i limiti di questa stessa riflessione” e, “consapevole di questa perdita e fragilità”, esige dalla filosofia il ripristino della perduta “sostanzialità e solidità dell’essere”.

E per questo, continua Hegel, obiettando ai romantici, «la filosofia non deve tanto aprire la chiusura della sostanza ed elevarla all'autocoscienza, non tanto riportare la coscienza caotica all'ordine mentale e alla semplicità del concetto, ma, al contrario, Al contrario, scaricare tutto in un ammasso che divide il pensiero, per sopprimere il concetto che fonda le differenze, e per restaurarlo sensazione in sostanza, non tanto da dare comprensione, Quanti edificazione. Il bello, il sacro, l'eterno, la religione, l'amore: questa è l'esca necessaria per risvegliare il desiderio e innamorarsi dell'esca; la sostanza non deve appoggiarsi al concetto, ma all'estasi, non alla fredda necessità della materia, ma all'ispirazione tempestosa per rivelare sempre più ampiamente la sua ricchezza. Voglio abboccare a queste esche la coscienza positiva, ma cade nell'edificante nichilismo dogmatico.. Girovagare in tondo... Cosa fare? Smettere di pensare?

La poesia come qualsiasi contenuto soggettivo, e in Alexei Tsvetkov sarà caratterizzata da un divario tra l'essere e il tempo ("buco"), si sforza di sostituire il significato oggettivo e di non aggiungerne uno nuovo o dare un accenno intuitivo di presenza significato diverso. Heidegger ha cercato di colmare questa lacuna, e sottolinea anche che la New Age, a partire da Cartesio, pensa il soggetto, io, mente, spirito, personalità, pensiero, ma consegna all'oblio la questione del rapporto tra essere e tempo, come tutta la filosofia scolastica precedente ad Aristotele.

E in generale, tutta la poesia di Tsvetkov non riduce tanto una persona alla fine o alla finitezza dell'essere, come sembrerebbe dalla prima lettura, ma ci riporta alle origini del pensiero filosofico. E forse questo è il suo merito. Tuttavia, questo merito non ci esenta dalla critica del suo pregiudizio negativo unilaterale (al quale reagiamo con la nostra totalità). La sua distruzione poetica è negativa: come se si liberasse dalle crescite del pensiero concettuale, il poeta si libera dalla questione dell'esistenza. Se fossimo tendenziosi all’estremo, allora dovremmo tuffarci nel fiume dell’indifferenziata fluida esistenza sensuale di Eraclito o, nel peggiore dei casi, nel fiume del “Tao” cinese di Lao Tzu, proprio per non cadere, seguendo il poeta, nell'oblio di sé solipsistico che caratterizza il nuovo stile di Alexey Tsvetkov.

Ci avviciniamo a queste origini non secondo la guida del poeta, ma secondo la sua logica, secondo il nostro pensiero tortuoso. Lo stato di sonno (questo è il nome del primo libro del poeta), in cui può rimanere la mente di ogni poeta, avendo abbandonato la ragione per amore della “fermentazione sfrenata della sostanza”, come se in essa si rivelassero delle verità, non dà nulla tranne i sogni, e non lo avvicina alla consapevolezza di sé. Quali verità, dimmi, fanno cadere nell'orrore l'anima del poeta?

Il poeta si trova di fronte a un dilemma: o l'oblio di sé o la consapevolezza di sé. È ovvio che Alexey Tsvetkov ha scelto la prima come vera e ha iniziato a distruggere la seconda, mostrandoci esempi di nuovi discorsi: la fine delle epoche? Questo è lontano sia dalla mente di Eraclito che da quella di Parmenide. La mente si è persa da qualche parte, è scappata dall'autore da qualche parte. Immagino che la colpa sia della fatica dovuta all'apprendimento... E se appare per caso, allora si mette sempre in mezzo, non permettendogli di fare nemmeno un passo sulla frettolosa strada verso... l'inevitabile...

Ma questo “passo verso il nulla” – vale a dire, nello spazio tra l’essere e il tempo – è, a quanto pare, proprio quel momento di orrore, catturato e registrato in questa poesia. Se immaginiamo l'intero corpo della poesia come un momento, disteso a lungo nel tempo, come congelato, avendo perso durata e movimento, ma allo stesso tempo senza trovare pace e distacco, allora troveremo una spiegazione o anche la giustificazione di tale “pensiero”, che richiede solo coraggio, e non un regolamento di conti con l’Onnipotente e l’esistenza che ci viene data in contanti. Non ha davvero bisogno della nostra protezione, e noi stessi siamo indifesi contro l’“inevitabile”, la cui inevitabilità non possiamo davvero spiegare. E per noi camminare da soli non è un'impresa così facile e, forse, anche disperata con le nostre corte gambe filosofiche.

Se il momento di Goethe si ferma - nella sua mente - "su richiesta" del poeta - dall'ammirazione per la bellezza dell'esistenza, allora in Tsvetkov si ferma davanti all'orrore della non esistenza. Questa cessazione dell'attimo è la morte autentica, vissuta adesso, che non ha nulla a che vedere con la morte biologica del portatore di qualsiasi soggettività. Che cosa può esserci di definitivo in una serie di istanti così mortali, se l'istante è durata? Un istante come quantità di tempo infinitamente piccola (Leibniz) trasforma il concetto di morte (che cosa? un corpo? una personalità?) in un problema di un'altra possibilità o realtà (irrealtà).

* * *

Ogni volta che dici "io" di te stesso, a chi intendi? Chi è questo “io” a cui sei così attaccato? Qual'è il suo nome? E qual è il nome "Fiori"? Su quale base avviene la concettualizzazione e la strutturazione della personalità: sull'idea, sulla volontà, sul sentimento? Io sono le nostre connessioni, nodi, nodus. Queste non sono categorie sostanziali e, quindi, non possono perdersi e non possono appartenere ad una persona, sono universali. Essi vengono individualizzati nel processo di divenire questa stessa personalità, forse, proprio come un disegno sul vetro ghiacciato si cristallizza, secondo leggi e fattori casuali.

Il concetto stesso di personalità risale a un termine giuridico del diritto romano e, ovviamente, è associato al diritto di proprietà. La proprietà, la proprietà agisce come una sorta di correlato della personalità. A proposito, la parola giapponese "I" nella scrittura geroglifica significa "naso" e "mazzo di spighe di riso", e in questo senso non è diversa dal concetto occidentale. La proprietà simboleggia il potere. Questi attributi esterni - potere e proprietà - agiscono sempre come attributi dell'io, e questi segni esterni ipostatizzati nella mente dei loro proprietari. Il possesso resterà, quindi non morirò. La proprietà come correlato della personalità.

Per il poeta tutto è diverso, si rivolge a ciò che non ha qualità, ma è l'essenza, per esprimere l'essenza. Dobbiamo ammettere che esiste, questa essenza, oppure non esiste affatto. L’io del poeta può realizzarsi in relazione alla sua lingua madre (attraverso il canto, la poesia, la voce) o alla famiglia, all’amante, alla patria. Quindi il concetto di morte è un'azione simbolica. In Tsvetkov, anche nel suo eroe lirico, osserviamo l'alienazione da tutte queste categorie e qualità, l'alienazione dall'esistenza nel suo insieme. Cosa rimane? Gli resta il nulla. Questa è la solitudine del nulla. Si trova nel deserto in mezzo a diecimila cose-dharma, completamente solo, senza compagnia, e noi chiediamo al posto suo: "Chi è questa persona che sta perdendo le sue qualità?" Tsvetkov dice: “Forse in alcuni siamo intercambiabili, assenza / della personalità necessaria luogo specifico/ risveglia l'essenza dove la mancanza / è più acuta, ma che tipo di demoni / essenza sono riusciti ad addormentarsi in primo luogo."

L'entità che è riuscita ad addormentarsi è Dio. Il fondatore di una delle due principali scuole del Buddismo Zen, Rinzai (Lin Tzu), cercò di risvegliare questa personalità nei suoi seguaci, come descritto nella seguente parabola: “C'è un vero uomo senza titolo in un mucchio di carne nuda, che entra ed esce per le porte delle vostre facce. Quelli che non si sono accertati di questo, guardate, guardate!" - ordinò Rinzai. Un monaco si fece avanti e chiese: "Chi è questo vero uomo senza rango?" Rinzai scese dalla piattaforma, afferrò il monaco per la gola e gridò: "Parla! Parla!" Il monaco esitò. Allora Rinzai lo lasciò andare e disse: “Che patetico pezzo di sporcizia!” (In un'altra traduzione, questa risposta suona più scortese: “Che raschiatore di merda, questo vero uomo senza titolo!”).

Nella personalità dell'eroe lirico Tsvetkov vediamo una collisione di due mondi: quello esterno gli racconta costantemente della sua insignificanza e quello interiore della sua grandezza. E questa grandezza, questo orgoglio, incenerisce diecimila dharma dell'esistenza. Una volta nel deserto, il mondo ha smesso di interrogarlo, ma tutti devono rispondere all’unica domanda “cosa sono io?” "La mia morte non porterà dolore a nessuno, questa è la felicità della solitudine! E idolatreranno la mia follia, perché sono pazzi!" - ha detto qualcuno di Nietzsche in una famosa opera teatrale.

Curiosa è la visione orientale della personalità occidentale dell’educatore buddista Zen Suzuki Daisetsu: “Quando il cristianesimo cominciò a considerare la questione della Trinità, gli scolastici usarono questo termine (personalità) teologicamente, come si può vedere dai termini “volto divino”. e "personalità umana", che si fondono armoniosamente in Cristo. Nel nostro uso moderno, il termine ha una serie di significati morali e psicologici che presuppongono tutto questo contesto storico. Il problema della personalità è in definitiva riconducibile al problema dell'"io". È necessario affrontare questo “io” prima di piangere la morte.

La personalità nella poesia di Alexei Tsvetkov è nella trappola del doppio pensiero, vale a dire: "affermazione" e "negazione". L’uomo orientale, l’adepto dello Zen o del Taoismo, sfugge alla trappola mentale attraverso l’azione o il paradosso: “parla senza lingua”, “suona un liuto senza corde”, “sente il battito di una mano”...

Da un lato, la poesia di Tsvetkov cerca di superare la condizionalità logica del pensiero, i cui concetti sono imposti al mondo e smembrano il mondo, ma tuttavia non va oltre i limiti dell'affermazione e della negazione, e quindi è logica, e non sfonda l'intuizione. Questa è la logica della distruzione sequenziale. Ma si tratta di decostruzione in senso filosofico o di distruzione volontaria? Non ha uno scopo ed è quindi privo di significato. È facile per noi ora provare abiti e dottrine filosofiche diverse, poiché la nostra stessa nudità e povertà spirituale lo consentono.

All’esito della pratica poetica di Alexei Tsvetkov, ci aspetteremmo giustamente l’apparizione di una “vera persona senza titolo”, cioè un vero “io”. Il saggio cinese Rinzai, i cui insegnamenti sono interamente dedicati all'uomo del Sentiero, la Personalità, liberata dalle illusioni del pensiero, cercò di risvegliarla nei seguaci dello Zen (Chan). Questa apparizione di una “vera persona senza titolo” sarebbe simile alla catarsi delle tragedie greche. L'uomo di Rinzai sarà l'opposto dell'uomo di Tsvetkov. E non importa che tra loro ci sia una distanza di tempo e di civiltà. La loro differenza sarà la stessa del soggettivismo e del solipsismo.

L'uomo di Rinzai è libero dalle ombre della sua coscienza, è aperto, è rivolto al mondo per conoscerlo attraverso la sua soggettività, e l'uomo di Tsvetkova è assorbito nel suo essere interiore, diviso nella sua coscienza, e questo si manifesta chiaramente nella poetica. Lasciamo che si tratti di personalità di civiltà lontane, separate tra loro nel tempo e nello spazio, ma se parliamo dell'essenza dell'uomo, se riconosciamo l'esistenza di un'essenza, allora queste distanze non contano.

Ecco come viene visto quest'uomo occidentale attraverso gli occhi di Suzuki Daisetsu: "Questa è una filosofia dell'apparenza, dove ognuno si veste per tutti gli altri per apparire diverso da quello che è realmente. Dove si spinge troppo oltre, si perde l'originalità, e una persona si trasforma in una specie di scimmia divertente. Quando questo lato dell'"io" cresce e comincia a predominare, il vero "io" viene scartato, soppresso e ridotto a nulla. Sappiamo cosa significa tale soppressione. Nessuno può sopprimere nell'inconscio creativo, in un modo o nell'altro si dichiara. Quando non riesce ad affermarsi nel modo che gli è naturale, sfonda tutte le barriere, a volte con la violenza, a volte sotto forma di patologia. il vero “io” è irrimediabilmente distrutto."

Daisetsu parla del "vero "io", del percorso naturale della sua manifestazione, che va oltre i confini del pensiero filosofico. Anche l'uomo occidentale è alla ricerca del suo "vero "io", e i romantici sono stati i primi a intraprendere questo percorso (Kant propone il concetto di genio), e dove - ci sono persino riusciti, se questa parola è appropriata, ma, in generale, hanno comunque fatto ricorso alle stesse chimere del pensiero concettuale (scolastico). E, infatti, nello stesso cerchio di rotazione si trova ancora l'eroe umano di Alexei Tsvetkov, affascinato dai giochi solipsistici della mente. Tuttavia, ad un certo punto, in un impulso romantico, decide improvvisamente di cambiare le regole del gioco. Per capire qualcosa, è necessario definire questo “momento”. Questo è un momento psicologico...

* * *

Qual è l'argomento, qual è l '"io" di Alexey Tsvetkov? Con queste domande bussiamo alla porta della filosofia della soggettività. Nel testo diretto, ci indica le “figure di Cartesio”. Quindi vediamo.

Per prima cosa, ricordiamo cosa intende lo stesso René Descartes con “io”: “... quando penso a me stesso, non solo capisco che sono una cosa imperfetta, incompleta, dipendente da qualcos'altro, che lotta e lotta costantemente per qualcosa - quindi migliore e più grande di me stesso, ma allo stesso tempo comprendo che colui dal quale dipendo non solo possiede, indefinitamente e potenzialmente, tutte le grandi cose a cui tendo e le cui idee sono in me, ma usa anche da loro è effettivamente attuale e infinito ed è, quindi, Dio. E tutta la forza dell'argomentazione che ho usato qui per dimostrare l'esistenza di Dio sta nel fatto che riconosco come impossibile che la mia natura sia così com'è. , cioè contenere l'idea di Dio, se Dio non esistesse nella realtà; lo stesso Dio, possedendo tutte le alte perfezioni di cui il nostro spirito non può avere che un'idea approssimativa, senza poterla comprendere, non è soggetto ad alcuna carenze e non ha nulla a che fare con il fatto che significhi qualche tipo di imperfezione. E da ciò è sufficientemente chiaro che non può essere un ingannatore, perché la luce naturale della nostra mente ci insegna che le bugie e l'inganno dipendono necessariamente da qualche tipo di carenza." ("Riflessioni metafisiche." Tradotto da V. M. Nevezhina.) .

Poesia che nasce “da qualche mancanza”... È così? Dobbiamo ricorrere a citazioni estese per rivelare i significati sfuggenti della poesia di Tsvetkov, che ci rimanda all'una o all'altra fonte. E ci sembra che in questo brano abbiamo sentito problemi fondamentali, attorno al quale ruoterà l'intera affermazione poetica di Alexey Tsvetkov.

L'"io" di Cartesio è una sostanza pensante che necessita della "consueta assistenza di Dio", dotata di inestensione, e quindi indivisibile. Questo “io” si oppone al “corpo”, o sostanza corporea, che ha i seguenti attributi: lungo, largo, profondo, cioè estensione; inoltre è dotato di colore, sapore, odore, calore, durezza, ecc.

Ma allo stesso tempo, l’io cartesiano è impossibile senza un corpo: “Attraverso queste sensazioni di dolore, fame, sete, ecc., la natura mostra<...>e inoltre che non solo mi integro nel corpo, come il timoniere della sua nave, ma che, inoltre, sono strettamente connesso con esso e sembro mescolato, che sono, per così dire, un tutt'uno con esso. Dopotutto, se così non fosse, allora se il mio corpo fosse ferito, io, essendo solo una cosa pensante, non sentirei dolore, ma noterei questa ferita solo con la mente, proprio come un timoniere nota con la vista quando qualcosa si rompe su una nave. In realtà, tutte queste sensazioni di fame, sete, dolore, ecc. sono solo pensieri vaghi, risultanti e dipendenti dalla combinazione e, per così dire, dalla mescolanza dello spirito con il corpo”.

Così si esprime nella poesia, in cui il corpo è presentato come volume e come spazio.

“L’inverno raddrizzerà maglioni e guanti dall’interno/ ci sono impronte di mani e gomiti e cuori riscaldati/ o meglio volumi sotto la ruvidità della lana/ Figure cartesiane fino a un cuscino di neve/ costellazioni di forme di vita che sorgono insieme/ volti invernali stagionali nella speranza dell'amicizia// l'inverno scende e risplende come altoforno innevato/ dove possiamo stare fisicamente tra noi e insieme volumetricamente/ così vivi al tatto, salutando chi incontriamo/ infilando all'improvviso le gambe in guaine a doppia canna/ in tanti bambini in genere nei loro guanti eterni/ e la paura si allontana perché i bambini sono possibili al mondo// dentro sotto i vestiti ci sono poeti e muse cantanti / siamo la tribù dei tetraedri di Platone, forti drusi / lo spazio si distende nei gomiti che cedono allo sforzo / ed esistiamo nel freddo in modo bello e stretto / stringendo un corpo ideale con un angolo o un bordo / circondando un posto riservato con un vello di pecora / mentre la bufera di neve diffonde grandi canti / quanto eravamo solidi e rapidamente scomparimmo."

Questo è simile all’idea costruttivista del corpo nella pittura figurativa. Scopriamo che l'io nella poesia di Tsvetkov è correlato esclusivamente alla fisicità - "...Ciò che resta di noi è parte del discorso / ma nessuno dei pronomi" - ed è privato dell'esistenza metafisica. Il discorso perde la sua affiliazione con il nome espresso in uno qualsiasi dei pronomi. Questo non è il discorso di nessuno. Discorso che è diventato Nessuno. C'è una scomparsa dell'io insieme alla morte del corpo. Cos'è un corpo senza anima? Ma il verbo dice: resta!

William Blake la pensa un po’ diversamente nella sua metafisica poetica: “Ma prima bisogna liberarsi dell’idea stessa che l’uomo abbia un corpo separato dalla sua anima; e lo farò io stesso, stampando in modo satanico con l’aiuto di acidi, che sono curative e benefiche nell'Inferno, dissolvendo le coperture esterne, rivelando l'infinito nascosto. Se le porte della percezione fossero aperte, tutto apparirebbe all'uomo così com'è: infinito. Perché l'uomo si è murato in modo tale da vedere tutto attraverso le strette fessure della sua caverna."

Come se questo fosse un rimprovero diretto all'uomo Alexei Tsvetkov. A proposito, l'intera filosofia di David Hume guarda attraverso queste porte della percezione. Il corpo è una cosa che occupa uno spazio limitato. Se da questo punto di vista consideriamo il corpo umano come un organo del pensiero, allora anche il suo pensiero sarà limitato, nel suo spazio. Di conseguenza, c'è qualcosa di più nell'uomo che conosce cose che vanno oltre la portata degli strumenti corporei. Daremo per scontato che nel corpo umano si debba trovare qualcosa, si chiamerà spirito, che non ha limitazioni corporee nello spazio e quindi è capace di comprendere fenomeni illimitati ed eterni. Questa comprensione non è visibile nella poesia di Tsvetkov. Il corpo e l'io si identificano. L'io è murato nella carne. Da questa situazione nasce tutta la filosofia negativa di Tsvetkov, espressa nel linguaggio caotico della poesia.

"C'è una grande differenza tra lo spirito e il corpo, ed è proprio che il corpo è per sua natura sempre divisibile, mentre lo spirito è del tutto indivisibile. Anzi, infatti, quando lo considero, cioè quando considero me stesso, poiché sono una cosa pensante, non sono in grado di distinguere alcuna parte in me stesso, ma so e comprendo chiaramente che sono qualcosa di assolutamente unito e intero... E sebbene, apparentemente, tutto lo spirito sia connesso con l' corpo intero, tuttavia so benissimo che se una gamba, o un braccio, o qualche altro membro viene separato dal mio corpo, nulla verrà tolto al mio spirito. Anche le capacità di volontà, di sentimento, di conoscenza, ecc. essere chiamate parti dello spirito in senso proprio, poiché lo stesso spirito agisce tutto insieme durante la volizione, il sentimento, la conoscenza, ecc. Al contrario, non riesco a immaginare una sola cosa corporea o estesa, per quanto piccola è, che non potrei scomporre liberamente in parti attraverso il mio pensiero o che il mio spirito non dividerebbe facilmente in più parti e quindi non riconoscerebbe come divisibile. Questo basta per convincermi della completa differenza che esiste tra lo spirito, o anima, di una persona e il suo corpo, se non ne fossi già sufficientemente convinto”, dice René Descartes in “Meditazioni metafisiche”.

Da qui concludiamo che la canzone di Alexey Tsvetkov è una linea discendente, che tende verso la finitezza, verso il limite della conoscenza, verso la definitività, verso la riduzione. Le immagini di morte sono numerose. Perché l'anima nella sua poesia è dotata dell'idea di mortalità?

Nella curiosa metafisica poetica e cosmogonica di Platone, alla cui filosofia si riferisce il poeta, viene data una spiegazione per un fenomeno come l '"anima mortale". Platone pensa al nostro intero Universo come “un unico essere vivente, che contiene in sé tutti gli altri esseri viventi, sia mortali che immortali”. Si racconta inoltre che "il demiurgo stesso creò gli esseri divini, e affidò la generazione dei mortali a coloro che li partorirono essi stessi. Ed essi, imitandolo, presero dalle sue mani il principio immortale dell'anima e li imprigionarono in un mortale corpo, dando tutto questo corpo all'anima invece di un carro, ma, inoltre, gli hanno attaccato un altro tipo di anima mortale, investendo in esso condizioni pericolose e condizionali: prima il piacere, questo forte richiamo del male, poi la sofferenza , che ci spaventa allontanandoci dal bene, e inoltre due irragionevoli consiglieri - l'insolenza e la paura - e, infine, la rabbia, che non ascolta la persuasione, e la speranza, che ascolta troppo facilmente la seduzione. Hanno mescolato tutto questo con un sentimento irragionevole e con amore pronto a tutto, e così completò la corsa mortale dell'anima secondo le leggi della necessità." .

Se un'anima mortale piange per la sua mortalità, può solo significare che piange la sua perdita qualità negative. Quella parte dell'anima che è diretta al bene, al principio divino, trascendentale, è immortale e non ha bisogno di piangere per la morte del corpo mortale.

Affascinato dalla morte, girando attorno al castello della morte... Tutto questo è come il gioco di un bambino bendato: la mano del poeta inciampa sui morti ovunque. "Il cieco vivente nel crepuscolo della sconfitta." Il loro martirologio è grandioso; non si può contare nemmeno la metà di questa lista di barche marce di Caronte (“l’arca del Niente” di Heidegger). E insieme a ciò cresce l'elenco delle accuse contro il Creatore e delle controversie verbali dannose con lui. Questo poeta è arrabbiato perché non trova Dio, perché il suo grido rimane senza risposta.

Vogliamo cioè dire che la poesia in questo caso è un gioco a nascondino? Un poeta bendato cerca Dio, e Dio, come diceva Einstein, così nascondersi più in profondità, era necessario falsificare te stesso o diventare più magro. "Vive bene chi si nasconde bene", come disse di se stesso René Descartes in una delle sue lettere al suo interlocutore olandese, quando iniziò a creare il suo famoso metodo, in seguito chiamato metodo cartesiano.

Se Dio è impegnato nella falsificazione, allora il diavolo stesso ha ordinato alla poesia di ricorrere a questo metodo di sostituzione. Diciamo questo: Alexey Tsvetkov non è molto inventivo come poeta e come pensatore, sebbene sia una grande confusione, soggetto alla contemplazione di "idee vaghe". Le sue figure retoriche sono inserite in modo casuale, così che l'immagine del mondo appare in una forma distorta, sgretolandosi davanti ai nostri occhi. Si strappa la benda e vede che Colui che stava cercando non si trova da nessuna parte e non ha nemmeno sentito il segnale SOS.

“Non ci ha pensato molto e ha mentito/ il progettista di dinosauri e carote/ e dove cazzo era quando il segnale/ del Terranova è stato inviato da Marconi// Gengis dell'intera orda quantistica era silenzioso/ l'accordatore di superstringhe non era sentito/ ma sente l'odore degli incensi/ per cui sbava il bottino ai servi// visto che tace e io tacerò in risposta/ non è una buona idea pretendere cherosene per il fuoco/ chi ci ha creato il moccio e la pipì / probabilmente merita una vacanza// anche se Gengis non c'entra niente/ il mondo è orfano ma c'è una scimmia nelle signore/ colpisci Marconi con quella dannata chiave/ se ne andarono facendo segno e destinatario// lasciamo che la seduta sia gentile e bianco e nero/ ma alle persiane spalancate nell'oblio/ com'è felice la sera/ quello con una donna e lasciato da Dio// un altro bicchiere e sembra che canteremo/ a tempo con le forbici e i mandrini eterni / come le persone siamo su un'isola tutta tua / felicemente ritrovata e acquisita."

I nomi dei morti attirano lo sguardo del poeta, infantilmente affascinato dall'orrore della morte, i nomi dei morti che non possono essere resuscitati, non saranno più vivi, anche se chiamati per nome, e affrontati con amore. Il poeta è un bambino. E i suoi orrori sono più terribili delle paure degli adulti, sopraffatti dalle preoccupazioni quotidiane, che non si accorgono della preoccupazione principale - ontologica - del loro bambino. Proprio al centro del suo Eden, nel paradiso dell'infanzia, c'è un castello misterioso, lì conduce una strada burrona, lì conduce la trepidazione infantile, questo castello ha un nome: lì abita la Morte. Il poeta taglialegna deve venire a baciare la Morte sulla fronte affinché si risvegli dal suo sonno eterno, questa principessa dell'eternità.

“Rallegrati chi domani resterà sulla terra / sarai uomo quando saremo già libri / questi antichi muri sui parapetti del castello / quelli che marciavano sono caduti e presto per loro sarà il momento / ma finché la convocazione giace nella cassetta / prendono vita dentro ognuno sceglierò una cornice / o sta già mentendo ma prima di un posto / che multa si inventeranno per la mancata comparsa / /... ma guardando la morte vedi che è un castello / e non quello che pensiamo sia semidistrutto / queste porte scolpite e il silenzio nelle sale / arazzi sulle pareti e ocra nelle cornici del volto / significa che la fortezza è reale ed è stata presa dagli antichi / ma vai a controllare prima di dargli la quercia / entri e domani lì siedono sempre a banchetto / Agathon Eriksimach Phedr Volodya Lyuba.

C'è discordia tra anime e anime. L'eroe lirico Alexei Tsvetkov ha un'anima senza buone notizie. Come posso aiutare? Un cambiamento nel destino è possibile con un cambiamento di mentalità, un cambiamento nel modo di pensare. E se il pensiero fosse preferito? Il motivo è la lotta che l'anima conduce dentro di sé. Il rumore, il rumore rende difficile sentire. "Il suono della decadenza" A causa di questo conflitto, ciò che è bene per lei non viene ascoltato. La sua anima è un “rumoroso debole interiore”.

La parola biblica "paradiso" ha un altro significato nelle lingue indoeuropee: "ronzio, rumore, eco, grido, imprecazione, gracidio, rimprovero, abbaio". Apparentemente questo è il modo in cui avviene la sostituzione dei significati, e diciamolo come un presupposto. Ci era stato promesso il paradiso, ma ci siamo trovati allo sbando. Ma allo stesso tempo, proprio questa discordia diventa la fonte dell'affermazione poetica di Alexei Tsvetkov. Fermare il conflitto significa fermare la parola. Il discorso della lotta viene annunciato entro i confini del suo Eden mortale. L'ira dell'“anima mortale” ha dato vita alla poesia della metafisica della paura. Questa sensazione potrebbe anche essere causata dalla perdita sia dell'integrità del mondo che dell'integrità dell'“io”, poiché l'“io” ha iniziato a occupare troppo spazio nell'universo, più di quanto gli era stato assegnato dal creatore. Tutti i romantici ne soffrono.

È già stato notato che "io" come soggetto dell'affermazione lirica di Alexei Tsvetkov è impensabile senza fisicità, quindi presenta anche tutti i segni di decomposizione fisica. Il corpo appartiene alla natura. A cosa appartiene la coscienza? Anima? Questo sentimento di inseparabilità del corpo e dell'io è, infatti, infantile, questo è un sentimento infantile della pubertà, e chi non l'ha sperimentato! La coscienza del bambino si associa innanzitutto alla sua fisicità, ne è innamorato non perché ama, ma perché non può immaginarsi senza un corpo, a cominciare dall'identificazione sessuale, e ha paura di separarsene; ha un crescente sentimento di separazione tra sé e il mondo, separazione dal tutto.

Il mondo diventa ostile al bambino e non ha altra scelta che nascondersi dentro di sé, nella sua coscienza corporea. Nascondersi al mondo, e non aprirsi al mondo, non rivelarsi all'essenza. Questa è la natura del narcisismo. Il narcisismo è una forma di paura e la paura è una manifestazione del narcisismo. È bene notare subito – onde evitare interpretazioni volgari – che ciò non ha nulla a che vedere con il narcisismo sessuale della propria fisicità. Ma il corpo è visibile attraverso la riflessione.

Questo archetipo narcisistico della cultura fu in una certa misura notato dal filosofo tedesco Johann Georg Hamann, che influenzò i romantici, così come da Goethe, che lo definì “il mago del Nord”. La sua "Aesthetica in nuce" (1761), proclama l'uomo parte della natura. Secondo le sue opinioni, il linguaggio poetico esprime l'unità di spirito e sensualità. Ha detto che “Narciso (la pianta bulbosa delle menti belle) ama il suo riflesso più della sua vita”.

La morte come perdita di fisicità, che a sua volta si realizza attraverso la riflessione artistica. Il paradosso è, però, che l'eroe di Alexei Tsvetkov non acquisisce il senso della presenza reale delle cose, ma al contrario: il mondo diventa surreale, un mucchio di immagini casuali, l'io è illusorio come una nuvola, come cenere, come polvere... Perdendo l'"io", una persona perde il mondo, perde il suo riflesso, e in cambio - niente... Ma qualcuno osa tracciare il confine tra il corpo e l'"io", e lo spirito? Johann Georg Hamann ha scritto: "Le sensazioni e le passioni parlano solo nelle immagini e le comprendono solo. Nelle immagini sta l'intero tesoro della conoscenza e della beatitudine umana".

Stiamo parlando di manifestazioni non spirituali, ma fisiche, sensuali: "sensazione e passione". Passione per cosa? Dopo aver determinato l'argomento della passione, determineremo la natura della relazione del poeta con il mondo. Questa estetica, tesa alla realtà, dopo due secoli, allontanandosi sempre più dallo spirito (prototipo), si ritrova - per così dire - in un avvallamento rotto - in un'immagine discreta. Questo è ciò che rappresenta la tarda poesia di Alexei Tsvetkov. Prestiamo attenzione solo alla tendenza culturale generale e non leghiamo la poetica di Tsvetkov a un nome o all’altro. Ci interessano le metamorfosi delle idee che si dissolvono nell'aria generale della cultura e che respiriamo. Quando il poeta mette in fila “agathon eriksimah fedr Volodya Lyuba”, ci indica una catena di dipendenze che dobbiamo leggere al meglio della nostra consapevolezza culturale.

La discrezione dell'immagine, però, testimonia maggiormente la discrezione della coscienza, chiusa su se stessa, e quindi chiusa all'empatia - sentimento ed empatia - del lettore sia emotivo che estetico, oltre che filosofico. E solo il nostro interesse euristico ci consente di muoverci lungo il percorso dell'interpretazione dei testi poetici.

Poiché consideriamo la poesia sotto l'aspetto del pensiero, che è al di fuori della mente e della psicologia, cioè la percezione esterna non è determinata in alcun modo, sarebbe appropriato utilizzare l'analisi filosofica e psicologica nello spirito, ad esempio, di Ludwig Binswanger. analisi psicologico-esistenziale (Daseinanalytik), basata sulla filosofia esistenziale di Heidegger più la psicoanalisi di Freud.

Se immaginiamo che la poesia sia un certo stato di coscienza alterata, o una manifestazione del suo dolore temporaneo, che dà origine a un mondo di significati soggettivi, allora questo metodo sarà tanto più giustificato per la lettura, se non altro perché i significati soggettivi della poesia (coscienza, pensiero) vengono costantemente dedotti dall'autore in uno stato oggettivo. E proprio per questo il lettore si ritrova in un incidente semantico della soggettività e del solipsismo filosofico dell’autore.

Le immagini poetiche possono essere rivelate attraverso la consapevolezza del bisogno, della cura, dell'ansia, delle emozioni dell'autore stesso, il cui mondo poetico - seppure folle, seppur falso, addirittura estraneo a noi - è sempre significativo entro i confini del suo tempo e del suo spazio. Questo metodo non può che integrare l'analisi letteraria, che in questo saggio euristico è più adatta a noi in questo momento.

Può sembrare che in questo modo si tolga o si screditi ciò che viene chiamato poetico. La “poetica” si rivela quando i dettagli casuali coincidono con il contenuto olistico dell'intera creazione. Le parole in un'opera poetica possono essere casuali, ma le immagini che emergono dal profondo dell'inconscio dell'autore danno sempre origine a pochi e stabili significati d'autore che chiedono a Dio, Platone, Cartesio, Agatone, Erissimaco, Fedro, Volodia, Lyuba, di noi lettori, con le loro esigenze, e questo si chiamerà “stare-con-l'altro”.

Il significato dell'essere è radicato nella partecipazione, nel contatto con l'altro, e la perdita del suo significato è nelle connessioni interrotte, che indicheranno la dissoluzione dell'essere. Qui la corporeità avrà un significato essenziale in quella che viene chiamata l'esistenza del poeta, che vive e realizza la morte non come il futuro, ma come il presente, già compiuto.

Amico... Cos'è questo? Io, corpo, coscienza, intelletto, anima, volontà, amore, nervi, neuroni, cellule, proteine, libri, cose, mondo... Un nodo di ogni tipo di connessioni... Quale di questa lista è mortale e quale rimane per sempre, coincide con l'essenza ? Da dove viene la fiducia di Tsvetkov nella sua mortalità, come quella di ogni persona? Come fai a sapere che sei mortale? Dall'esperienza delle sue osservazioni... Noi (la nostra esperienza di coscienza) siamo limitati dalla nostra empiria, così come dalla capacità di pensare, poiché la nostra conoscenza è capace di contemplare solo i fenomeni. Alla fine, non ci interessa questa eternità ammuffita e muschiosa! L’eternità non è qualcosa che puzza di muffa, non è stagnazione. Il restare nella variabilità dei fenomeni di tutte le cose si chiama eternità, e perciò anche l'uomo coinvolto nell'esistenza rimane nell'eternità fin dall'inizio, ma non come coscienza, né come intelletto, né come carne, ma - secondo Schopenhauer - come volontà. Non è un caso che si parli del coraggio dei guerrieri sconfitti con queste parole: uccisi, ma non spezzati nella volontà; morto, ma non scoraggiato. Il linguaggio ci indica il percorso verso le origini dell'eternità e dell'immortalità. La volontà e lo spirito sono le cause primarie di tutto, e quindi indistruttibili. L'individuale e il personale nella volontà si manifesta come un colore dell'arcobaleno, nel suo sistema di valori, nell'etica, che hanno un ampio spettro.

A giudicare dalla facilità con cui cambiamo i nostri sentimenti, pensieri, principi, credenze, persone care, religioni nel corso della vita e il nostro corpo cambia, è difficile determinare cosa è così prezioso in noi, nel nostro "io", con ciò che facciamo paura separarsi dalla morte. Il pensiero di noi stessi può essere chiamato il nostro “io” per custodirlo dentro di noi? E cosa c’è in questo “io” che non c’è in nessun altro? La corporeità resta una forma associativa dell’“io”; attribuiamo il nostro “io” alla corporeità per associazione. La domanda non riguarda noi stessi, ma le esperienze dell’autore riguardo alla propria mortalità. L'Autore è unico? Dopotutto, il suo thesaurus poetico è costituito da parole che non gli appartengono, poiché prese in prestito dalla cultura. Questo materiale è semplicemente strutturato in modo diverso, anche se dà l'impressione di caos. La poesia si fonde sempre più con l'inconscio e, quindi, con l'impersonale, come se in essa fosse preservato qualcosa di genuino. Dove e in cosa cercare le origini della nostra personalità?

Forse questo è un problema universale del rapporto tra forma e contenuto, come nelle opere d'arte. Trattandosi di poesia, l’“io” di ogni poeta va considerato in termini di forma e contenuto di un testo letterario, che probabilmente conserva per sempre l’individualità dell’autore. L’“io”, in quanto categoria fluida e instabile, diventa una “cosa” che alla morte si trasforma in una categoria o in un artefatto. “Io” è una cosa che intendiamo come estensione. Perdendo una delle qualità, ad esempio la fisicità, perdiamo l’integrità? La coscienza, come la fisicità, è solo la forma esterna dell'io. Che cos'è? Quando parliamo della morte di una persona, di cosa dovremmo preoccuparci? Probabilmente riguarda la personalità... Il mondo non è perduto. Allora dobbiamo parlare della perdita della capacità di rifletterlo nella coscienza se ci associamo al riflesso. Questo è più difficile da capire rispetto alla comprensione della morte come distruzione: il motivo principale della poesia e la preoccupazione principale di Alexei Tsvetkov. Queste domande indicano che non sappiamo nulla della morte, nonostante il pathos pitico del poeta. Il poeta dice che morirà, ma non ne siamo sicuri, per poter condividere la sua ansia.

* * *

Il principe Peter Vyazemsky ha due poesie: "Coscienza" (1854) e "Incoscienza" (1877).

A proposito, nel dizionario di Vladimir Dahl non esiste alcuna voce per la parola “pensiero” o “coscienza”. C'è il “pensiero” e l'“essere consapevoli”. Esiste una definizione del genere: "Lo stato cosciente del paziente, memoria completa, significato e libertà di una volontà chiara".

Come abbiamo capito, tutte queste sono proprietà necessarie del pensiero. Per dirla al contrario, l'assenza di volontà, libertà, significato e memoria caratterizza una persona come malata, non pensante, non cosciente. Il paziente ha bisogno di cure o di salvataggio. Se la malattia si manifesta come crisi di senso, allora viene in soccorso la psicoanalisi, o la riflessione, o la religione. In altre parole, i significati si acquisiscono attraverso il pensiero, sia filosofico, sia psicoanalitico, sia religioso.

Dov’è il posto della poesia qui? A che tipo di pensiero è impegnato, suo o preso in prestito? La poesia ha la capacità di pensare a priori, indipendentemente dalla psicologia? Naturalmente no, perché senza la percezione non accade nulla nella mente, non nasce una sola idea, come dice David Hume Esquire.

Tuttavia, in un'altra poesia del 1876, Vyazemsky ammette la sua antipatia per questo tipo di “sano”: “I sentimenti sono selvaggi e duri/ Il nido della mia anima: / Odio tutti i sani, / Odio quelli felici.// In loro riconosco le mie perdite, / E mi sembra che siano / I miei focosi avversari / E i miei distruttori, / Che in condizioni a me ostili, / Con una faccia beffarda e arrabbiata, / Vivono della mia salute / E della felicità quello una volta era mio."

Naturalmente, il pensiero poetico può verificarsi sia nello stato conscio che in quello inconscio, nella malattia e nei sogni. Parlando dell'incoscienza, il poeta non trova la possibilità di manifestazione del pensiero e del pensiero; al loro posto ci sono “sentimenti, impressioni”, “movimenti del cuore”: sono la nostra vita.

Si oppongono alle “teorie del saggio”, che, per amore di equazione, mette sulla bilancia i movimenti del cuore e difficilmente porta la vita nella vita. L'idea della vita di Vyazemsky è la stessa di Eraclito: "Nel fiume che chiamiamo vita, / E noi siamo un flusso specchio, / E passando riflettiamo / Tutte le impressioni dell'esistenza".

Allora: cosa c'è di “distruttibile” in questa comprensione dell'“io” umano, se è solo un'immagine speculare dell'esistenza? In queste righe troveremo ulteriori somiglianze con le monadi Leibniz che amiamo. “La monade è uno specchio vivente e costante dell’universo”, “le monadi non sono che prospettive della stessa cosa secondo i diversi punti di vista di ciascuna monade”, “le anime in generale sono specchi viventi, o riflessi dell’universo, creazioni, e gli spiriti, inoltre, sono riflessi della Divinità stessa, ovvero del creatore della natura e sono capaci di conoscere il sistema dell'universo e di imitarlo in qualche modo con i loro tentativi creativi...".

Perché l'eroe delle poesie di Tsvetkov dovrebbe essere arrabbiato? La morte non è la distruzione completa. Se la coscienza è uno specchio, allora “io” è un’illusione. E in generale non c'è nemmeno coscienza. “Non c’è equilibrio nella nostra sorte: / Non importa quanto resistiamo, l’ora è irregolare, / E volenti o nolenti, o meglio controvoglia, / Tende a condurci da qualche parte. / Noi, come canne al vento, sono flessibili, / Il terreno sotto di noi è instabile; / Siamo impressionabili e instabili, / Come un'onda fugace. // E cambia colore e aspetto, / Tutto ciò che è sopra di esso, tutto ciò che è intorno, / L'onda accetta, riflettendo / Nel suo specchio scorrevole”.

L'eroe lirico di Tsvetkov, che cade nell'orrore prima della morte o nell'assurdità dell'esistenza personale, si opporrà all'eroe lirico di Vyazemsky. Questo è lo stesso saggio: cosciente, pensante, che a volte disprezza. “Tra le onde, quando si infrangono nella risacca/lo sfracellano da tutte le parti,/egli le guarda con pace,/ma non è una pietra fredda”.

E il lettore stesso è libero di scegliere alcuni eroi come compagni. In John Locke troviamo anche discussioni sul tema del pensiero nei sogni, ma l'incapacità di trattenere i pensieri dell'anima inconscia è paragonata ad uno specchio. "Pensare spesso e non trattenere i propri pensieri per un solo momento è impegnarsi in un tipo di pensiero molto inutile. E l'anima con tale pensiero differisce molto poco (se non del tutto) da uno specchio, che percepisce costantemente molte immagini diverse, o idee, ma non le trattiene; scompaiono e svaniscono, e di esse non rimane traccia; né lo specchio migliora da tali idee, né l’anima da tali pensieri.

Dove sono"? Cosa sono"? Cosa ha paura di perdere una persona? Perdita dell’integrità spirituale e fisica? Su cosa poggia l’integrità dell’io, sull’idea di “sostanzialità” o di “identità di sé”? Queste sono le domande che si svelano dietro tutta questa metafisica che alimenta la poesia scoraggiata di Alexei Tsvetkov. A seconda di come risponde a queste domande o da chi trova le risposte, abbiamo l'uno o l'altro carattere poetico nella sua filosofia, assiologia e poetica. Cosa possiamo dire se David Hume, che ha fatto un coraggioso tentativo di spiegare il mondo attraverso le impressioni, cioè empiricamente, avesse paura della scomparsa del suo “io” non dopo la morte, ma già durante la sua vita. "Dove sono e cosa sono? A quali cause devo la mia esistenza e a quale stato tornerò? Di chi dovrei cercare la misericordia e di chi dovrei temere l'ira?"

La soggettività delle “impressioni” priva la base oggettiva dell'esistenza umana. Diventa un gioco di queste impressioni, un oggetto della loro manipolazione, un incidente senza necessità. Un mosaico di impressioni, un mosaico di idee: questo caleidoscopio di varie logiche, sia metafisiche che empiriche, ci sembra essere la poetica di Alexey Tsvetkova.

Sembrerebbe che un tale metodo di pensiero poetico sia dettato da un totale rifiuto del giudizio sul vero e sul falso, cioè dallo scetticismo, ma questo scetticismo dovrebbe estendersi anche all'idea stessa della morte, che non è nella poesia di Alexei Tsvetkov, ci crede. "Non sei morto, Pirrone"? - chiesero al filosofo greco dell'Elide, che non scrisse una sola riga, per non cadere nella tentazione del giudizio. Al che lui ha risposto in stato di adiafora: “Non lo so”. Il rifiuto del giudizio non significa che lo stesso Tsvetkov abbia abbandonato l'idea di ciò che è "vero" e "falso". Il suo pathos negativo, senza alcuna domanda, testimonia solo una sorta di conoscenza sacramentale.

Scetticismo dogmatico: tale è il colore o l'atmosfera di questa poesia. Com'è possibile? Osiamo supporre che il dogmatismo sia nutrito o da una coscienza mitologica, o religiosa, o atea, ma per nulla filosofica. Laddove una persona filosofica dice "non lo so", una persona emersa dalle profondità delle coscienze elencate risponderà inequivocabilmente: credo o non credo.

* * *

Nel frattempo ricordiamo ancora una volta Georg Trakl. Il suo tema apparentemente fastidioso della morte non è in alcun modo collegato al tema della perdita del corpo, della decomposizione corporea. Al contrario, con l'acquisizione. Che cosa? Integrità. Quale? Essenziale per l'uomo. Interezza come liberazione dall'esistenza tiepida di metà bestia e semidio. Del resto “un animale che non si è ancora stabilizzato nella sua essenza è l’uomo di oggi”, ci dice Heidegger riflettendo sulla struttura poetica del poeta austriaco. "La sua morte non è corruzione, ma l'abbandono (verlassen) dell'immagine decaduta dell'uomo." Così si dice nelle poesie di Georg Trakl: "O uomo, un'immagine decomposta; metallo freddo / Notte, orrore delle foreste sommerse / E la fiamma di un boschetto di animali. / Il vento si spegne nell'anima".

"La metafisica dell'Europa occidentale è riuscita a raggiungere questa integrità", dice Heidegger, fin dai tempi di Platone, "e aggiunge con un sentimento di condanna: forse sta facendo irruzione invano". Ma come fa Trakl a raggiungere questa integrità? Quale via? Il punto di partenza della sua poesia è il “distacco”. Supponiamo che il punto di partenza della poesia di Alexei Tsvetkov fosse lo stesso sentimento di inutilità già registrato da Heidegger.

Se non riesci a superare il sentimento della mortalità (“superato” secondo Heidegger), allora ama questa paura! C'è anche il narcisismo intellettuale: ammirare i tuoi pensieri, esperienze, paure. Cerchio di sofferenza. Come potrebbe un poeta essere diverso? Il poeta non è un cane, per non pensare alla sua morte, e quindi non soffre come un cane! La sofferenza può anche essere un'amante: è così che riconosciamo uno dei nomi dell'amore nel libro di Alexey Tsvetkov.

“È quasi notte e le sentinelle dormono in piedi / non ti è difficile capirmi al buio / dove esattamente emano puzzo / sto muto con la faccia nella polvere e puzzo di cadavere / il bronzo scintilla luce biancaè uscito / è l'ora dei funerali / non ci sarà un fruscio tranne noi / il corvo è in torpore e i cani dormono / lasciamo sdraiare Creonte da tre palchi / lasciando in soggezione il coro e il luminare / ecco solo tu sei per me, la città e il popolo / dove il sangue infedele diventa cremisi / risuona dalla versta delle mura a sette porte / per cui è sempre stato così grande // quando giaci e l'elmo piumato è vuoto / il unico interlocutore dell'ombra/ i vermi scricchiolano altruisticamente/ i corvi tra le chiome degli ulivi vicini/ la tua patria è una paglia nel fuoco/ non la tua patria ma una semplice talpa/ su quella screpolata dal caldo sbucciare / quando si sente il rumore della putrefazione sentito dentro / ora non prigioniero del corpo e del calore / resta la morte con un piccolo livido / canta l'odio quanto ti amo / che ora verrà con una brocca / versa il vino parla nell'oscurità / con me e resisti docilmente il cappio / alza i miei morti è ora di tornare a casa/ che marciamo nell'amore e che siano messi sul ceppo/ non hai rifiutato quello che ero/ perché sono morto e puzzo/ noi siamo i fedeli discendenti dei viventi/ la tua carne è tenera alle mie falangi/ ora non sono lui ma io il tuo sposo/ su un letto di stelle nel fresco oblio / che destino abbagliante e semplice / dal lato squallido di tutte le patrie e patrie terrene / dove il cadavere di tuo fratello ti è libero / perché è legato dalla catena della parentela / e se sei rimasto con me / che gioia che tu sia morto presto”.

La disintegrazione della fisicità sarà accompagnata da una sintassi rotta e da connessioni associative lacerate e illogiche (illogiche): le viscere circondano il cosmo. Questa è la regola del comportamento del testo. La struttura del caos. Questa poesia si intitola: "Sorella". Ricordo che il primo libro di poesie romantiche di Boris Pasternak, con una dedica a Mikhail Lermontov e con un'epigrafe del defunto romantico tedesco Nikolaus Lenau, si chiamava "Mia sorella è la vita". Poiché abbiamo a che fare con la poetica delle inversioni semantiche, il significato della poesia di cui sopra è ovvio: stiamo parlando di "Mia sorella - morte". Tale analogia è possibile se ricordiamo l'energica poesia vitale del genere romantico “Ballata genealogica” dedicata a Junna Moritz, in cui è ancora affermata una parentela estetica con il giovane Pasternak. Ricordiamo che fu dal genere delle ballate che iniziò il movimento della poesia romantica, quando Wordsword e Coleridge pubblicarono una raccolta anonima di Lyrical Ballads.

Prestiamo attenzione a cos'altro è scritto lettera maiuscola"Signore." L’ulteriore percorso del poeta è quello di incidere con acido cloridrico tutta questa “pastinaca” romantica positiva, con cui intendiamo sorpresa, entusiasmo e apertura al mondo, illuminazione. Tuttavia, allarghiamo un po' i nostri orizzonti. L'immagine della sorella è abbastanza rappresentativa nell'intero corpus di poesie, sia prime che ultime, di Alexei Tsvetkov.

"Addio, fede mia. Al di là degli Urali blu / Il tramonto ha dissolto le città, / E l'anno lento in quest'aria è cremisi / Il tuo volto è stato cancellato per sempre, / Così che una nuova vita sorga e si rafforzi / Per sostituire la sorella defunta," "Nel umido crepuscolo autunnale / Busserà al portico / Un interlocutore persistente, / Un'ombra senza corpo e senza volto. / Le sorelle tacciono nel reparto, / Succo scuro da sotto le bende", "Ricorderò la stella bar di piazza Cinquecento, / Dove cantava la nostra morte, sorella della stazione. / Perdonami, sorella, separazione dei vagoni, / Perché una frusta secca sferzava le corde, / Che la tua bocca a due denti non risparmiava un solo suono - / Ma solo la mia morte osa cantare queste cose”, “Le sorelle mi hanno versato dell'alcool / E mi hanno baciato senza vergogna”, “Petra, sogno non stampabile/ della sorella minore d'Europa", "e la notte sua sorella, come un negro sconosciuto/ di il cielo poco indagato, getta in tilt le stelle/ e la lingua di magma chiama dagli antichi abissi/ ma la creatura non si accorge di quest'ospite/ e attraversa il ponte battendo col bastone", "e la sua sorella notturna come una nera sconosciuta Uomo."

Forse nella poesia russa non troverai un'estetica così sgradevole, così luminosa, così feroce della morte personale, vestita dell'arte di morire. Questa non è la decadenza volitiva e tenera dell'immorale degenerato Verlaine: "Io sono una Roma decrepita..." Compagno, prendi in mano un volume di Verlaine, preferibilmente nelle traduzioni di Georgy Shengeli, e un volume di Alexei Tsvetkov nell'altro! Le motivazioni sono le stesse, la differenza sta nell'espressione.

“Con gli occhi di un cadavere che ha fretta di marcire / Sotto questa luna mortale, / Il mio giorno d'un tempo, o meglio, la mia eterna vergogna, / Mi schernisce dalla finestra. / E con la voce di tutti i vecchi morti / (Così si lamenta un attore a teatro), / La mia eterna vergogna, i miei vecchi tempi, o meglio, /Il pancoletto fa le fusa giocosamente./ E il giullare agita il suo dito azzurro con l'impiccato/ Sul ramo agitando la sua chitarra / E sul futuro, qui a bocca aperta, / Come se fosse rivestito di gomma, balla. // "Il vecchio truffatore, smettila con questi scherzi! / È troppo tardi per scherzare, per Dio!"/ Lui, con una voce arrugginita e attraverso:/ “No, è tutto molto serio.// E davanti a te, mio ​​gentile moccioso, sappi, / Riguarda, davvero, ben poco./ Non ti piace? Per favore! Vai, / Fatti una passeggiata, almeno lungo il canale."

In questa poesia, qualunque cosa accada, è nella linea di Alexei Tsvetkov. È sorprendente come le immagini di morte, decadenza, decadenza risultino tenaci, vitali, energiche. Anche qui la parola "Roma" non è stata sentita per caso: come segno di latinismo in contrapposizione all'ellenismo o a Bisanzio. “E io sono il campione della Roma / in lenzuolo viola.” E torneremo su questo argomento più tardi...

Tra gli espressionisti tedeschi Georg Trakl, Georg Heim, Gottfried Benn, questo pittoresco necrofilo è molto più familiare, perché è già inscritto nella cultura gotica medievale. Sembra che per Alexei Tsvetkov la scelta della strategia poetica non sia stata tanto ideologica quanto letteraria: riempire l'estetica che manca nella poesia russa - comunque la si chiami: ci sono molte definizioni qui. Chiamiamolo espressionismo neogotico. È vero, non penso che “l’uno” sia possibile senza l’”altro”.

Georg Trakl ha un'immagine di sua sorella, è associata alla morte, così come alla patria - un'immagine simbolica. “Unter goldnem Gezweig der Nacht und Sternen / Es schwankt der Schwester Schatten durch / den schweigenden Hain, / Zu grussen die Geister der Helden, die blutenden Haupter” - “Sotto la rumorosa corona dorata di stelle e notte / Ombre di sorelle vagano in un boschetto silenzioso, / Dove le anime degli eroi le attendono, occhi insanguinati" (traduzione di G. Ratgauz); "Verfall, der weich das Laub umdustert, / Es wohnt im Wald sein weites Schweigen./ Bald scheint ein Dorf sich geisterhaft zu neigen./ Der Schwester Mund in schwarzen Zweigen flustert" - "Significativamente muto, / Il fogliame è coperto di decomposizione. / Attraverso i rami neri: il villaggio trema / E la sorella sussurra tra sé" (traduzione di A. Prokopyev). Per completare il quadro dobbiamo ricordare altre immagini della sorella - Schwestegestalt - Paul Celan: “Geh, deine Stunde / hat keine Schwester, du bist - / bist zuhause” - “Vai, il tuo tempo / non ci sono sorelle, tu - sei tornato a casa”; "An einem Mund, / dem es ein Tausendwort war, / verlor -/verlor ich ein Wort, / das mir verlieben war: / Schwester." - “Alla bocca, / alla quale quella parola era mille, / perdita - ho perso la parola, / sorella.”

Ricordatevi di "Madame Morte" di Verlaine.

È opportuno notare che i poeti hanno atteggiamenti diversi nei confronti della morte: quello di Tsvetkov è volitivo e parziale, inconciliabile, quello di Trakl è colpevole e sottomesso, quello di Benn è edificante, distaccato e contemplativo. Se Benn ha solo l'Inferno, allora Tsvetkov e Trakl hanno Eden come lupo mannaro dell'Inferno. Il pronome "lei" nelle poesie di Tsvetkov a volte funge da sostituto della parola "sorella": "Gli ha dato due specchi / uno vero e un altro per la notte".

Ci deve essere un organizzatore per tutto questo Eden-Inferno. Il nome di questo organizzatore è dato a Dio, timoniere, demiurgo, architetto, suonatore di lira, inventore, padrone delle stanze superiori nella dimora eterna, prima legge della termodinamica... La sua presenza nel mondo non è piena di significato. "Il mondo acquista senso quando arrivano i morti." Cosa potrebbe significare? Solo che il senso della vita non si trova al cospetto di Dio, ma al cospetto della morte. È vero, il significato di questo "significato" tsvetkoviano non è chiarito. Di conseguenza, viene affermata l'identità di Dio e della morte. "Ho amato come meglio potevo e non sapevo che Dio non era vero, lo abbiamo ucciso e vivremo sulla terra per sempre." O come si dice senza mezzi termini, con una conclusione filosofica, in un’altra poesia: “nascita e morte sono prototipo e identità”. Le prime due parole si riferiscono al mondo sensoriale e la seconda al mondo intelligibile, ma non ci è chiaro se siano collegate in qualche modo o meno.

“Dio non è vero”… Cos’è la “verità” in questo caso? Nell'autocoscienza russa, Dio e la verità sono concetti indissolubili. Dio è la verità più alta. Inoltre, “verità” e “verità” non sono la stessa cosa. La “verità” come concetto morale, la verità è solo uno stato d'essere discreto, momentaneo. Il momento della verità, quando la Verità appare. La verità come forma particolare di manifestazione, come fenomeno dello Spirito. C’è solo una verità, è la valuta forte; Ogni verità è merce di scambio. La parola stessa risale alla semantica del denaro e al concetto di luogo. Dalla parola “verità” deriva “giusto”. “Nel cuore di ogni essere vivente/ è cucito un dispositivo di protezione/ trasforma la parola in un fruscio/ se dicono la verità”.

Nella semantica di Tsvetkov, “verità” e “dio” si trovano in una relazione di valenza libera. Osserviamo questi concetti nella poesia. Nella maggior parte dei casi, il tema “dio” appare in versi accentati alla fine delle poesie. Ci sono ancora poche connotazioni negative nelle prime poesie. "Il magma infuria nelle vertebre della terra, / La massa dei diamanti risuona davanti a Dio, / Pietre cantanti camminano lungo le strade - / E noi parliamo la nostra lingua"; "Tutto ciò di cui abbiamo bisogno da Dio è una stella pulsante sotto la pelle / E, probabilmente, luce, perché senza di essa è buio"; "Come il cielo sopra l'acqua stagnante, congela il tuo cuore, / Non disturbare il flusso delle libellule. / Il Signore Dio ha su un pollice di terra / Una colonna di anime proiettate"; "Perché siamo stati creati da Dio / Senza un metro o una libbra nel cervello?"

E poi tutto è andato in discesa. Per Tsvetkov, tutta l'esistenza si sforza di essere rappresentata da due linee, da cui nasce lo spazio bidimensionale. Di almeno, con le sue dichiarazioni elimina l'uno o l'altro vettore, e il più importante di essi è il vettore di Dio. Il suo spazio subito si restringe, l'uomo si trasforma in cartone di cartapesta. La geometria di Tsvetkov appare come geometria euclidea su un piano, dove la linea sarà rappresentata da un segmento. E questo lo mette in conflitto con l’estensione cartesiana, perché è impossibile parlare di estensione nel linguaggio della geometria euclidea.

* * *

E qui è ancora necessario introdurre nella nostra narrazione la figura di Mikhail Yuryevich Lermontov, più vicina a noi di tutta questa roba non meccanica con le sue carogne. I poeti non hanno mai avuto la sensazione così improvvisa e dolorosa di essere gli eredi o i sosia di un genio del passato, del suo spirito ribelle, che cominciava a tormentarli con la poesia? Succede che dopo un secolo, dopo aver attraversato un circolo di sofferenza, queste anime ribelli ritornano da qualche poeta casuale, perché non hanno trovato pace nella loro morte precedente. La letteratura gotica ne ha ricavato un buon capitale.

E sfrutteremo anche questa tecnica, rivolgendoci esclusivamente al sistema poetico figurativo. Lo spirito ribelle di Lermontov era ancora giovane quando ruppe con il poeta, e poi un giorno si trasferì in un poeta maturo, che per il momento era rimasto in silenzio per circa due decenni. Questo è ciò che dice una leggenda, che prendiamo come base letteraria. Quello che è successo è un mistero! Nello spazio bidimensionale di Tsvetkov, lo spirito ribelle di Lermontov è diventato ancora più angusto di prima che si sentisse nello spazio tridimensionale del suo corpo.

Il mondo poetico di Lermontov è costruito verticalmente verso l'alto: il poeta e Dio (stelle, angeli, demone, canto). In basso verticalmente: poeta e pietre (corpo, terra, tomba). C'è un'altra linea: il poeta e il pensiero (immagine, immaginazione, sogno). Inoltre esiste una linea sensuale alternativa alla linea del pensiero: anima, cuore, amore. Solo in un caso c'è feedback: il poeta e Dio (volontà, demone, stelle). La linea orizzontale è il poeta e il mondo visibile e manifesto, la quercia, il rumore. Il poeta sta al centro, sarà lui il punto di riferimento. Da queste linee possiamo costruire su un piano le figure geometriche tridimensionali del mondo poetico di Lermontov. In altre parole, in Lermontov abbiamo a che fare con la stereometria, la geometria spaziale.

E in generale, una raccomandazione, quando tu, compagno, ti senti soffocato nelle poesie di Tsvetkov, torna immediatamente alla poesia sconveniente di Lermontov, raddrizza le spalle, fai un respiro profondo e, anche se la ribellione e l'ansia non ti lasciano, il tuo cuore lo farà trovo ancora un ritmo uniforme e calmo. Il suo pensiero sulla morte non si limiterà al pensiero dell'insignificanza, ma si rifletterà nel pensiero di Dio - non come salvatore, ma come l'unico possibile.

Ricaviamo da Lermontov le categorie figurative: pensiero, immagine, cuore, pietre, stelle, rumore, silenzio, volontà, Dio. Questo per ora basterà. Sulla base di essi si strutturerà il suo spazio. Consideriamo però solo ciò che ci interessa in questo saggio: il pensiero. Il suo mondo è concepibile, intellettuale, costruito su antinomie.

Come nasce il suo pensiero poetico? Diciamo qualcosa che può essere ovvio per ogni lettore quando legge poesie.

“Poeta”: “fuoco celeste”, “il pensiero lampeggerà”, “spargerà tutta l'anima”, “il fantasma corre”, “la mente conserva le impressioni originali”. Come vediamo: il fuoco celeste scolpisce un pensiero che perde l'intera anima, e poi il fantasma dell'immaginazione fugge e la mente preserva l'immagine originale. Due scopi: il pensiero è solo una scintilla; la mente è un deposito di impressioni, cioè di memoria.

"Melodia russa": "nella mia mente ho creato un altro mondo e altre immagini dell'esistenza", "li ho collegati con una catena", "ho dato loro una forma, ma non ho dato loro un nome". Cosa succede dopo? Accaduto rumore: “all’improvviso si udì un ululato minaccioso dai temporali invernali”. Il risultato di tutto questo mondo mentale: "e la creazione infedele crollò!"

La poesia è la creazione nella mente di un altro mondo attraverso altre immagini, interconnesse per volontà dell'autore. Può essere distrutto da qualche rumore esterno, che si oppone alla volontà dell'autore. È qui che sorge la contraddizione e il disaccordo di Lermontov con il mondo, da allora mondo esterno distrugge le sue concepibili creazioni poetiche. Da Tsvetkov osserviamo Già un mondo interiore distrutto e una volontà sconfitta, poiché l'autore non può ripristinare le precedenti connessioni tra le immagini, e la sua canzone rimane non cantata “tra il rumore umano” (Lermontov).

Tuttavia, non lasciamoci trasportare troppo, notiamo finalmente alcune caratteristiche della "mente" di Lermontov. Il pensiero è associato al disprezzo: "Sapeva disprezzare il mondo spregevole per pensare a una cosa?" Disprezzo e odio accompagnano anche l'amore: «E tutto il mondo ha odiato per amarti di più». La mente è la fonte dei desideri e delle passioni: “E la mente è piena di desideri e passioni”. Lermontov trasmette persino un sentimento di disprezzo all '"onda blu", che vorrebbe nascere per distruggere tutto "di cui le persone sono così orgogliose": "la navetta diffidente disprezzerebbe con arroganza". Queste onde di Lermontov lavano le stesse pietre Tsvetkov. “Non avrei paura dei tormenti dell’inferno, non mi lascerei sedurre dal Paradiso...”

Il poeta entra anche in un rapporto commerciale con il mondo, contrattando con il suo talento: “Forse, con il pensiero celeste e la forza dello spirito, sono convinto, farei al mondo un dono meraviglioso, e mi darebbe l'immortalità? " In questa quartina, almeno, si afferma un “pensiero celeste”. Ciò di cui Tsvetkov non ha traccia! Lui (il suo carattere, ovviamente) rovina il dono della parola (armonia) per far dispetto a noi o a chi non gli conferisce l'eternità. Lermontov arriva alla triade: "Io - o Dio - e nessuno". Di conseguenza, la “mente” nella sua poetica sarà l'immagine protagonista.

Tsvetkov, per sfiducia nella mente, afferma la categoria della "non-mente", ma non si può dire questo nello spirito del buddismo Zen o dell'esicasmo ortodosso: "Il granito non diventa più saggio dalle nostre teorie, e la gola mortale non può cantare la melodia di una pietra con la lingua”, “Ho dosato una dose letale di vita, senza peccare con eccesso di intelligenza”, “Le mie azioni eccessive non tradiscono la mia intelligenza”, “L'imperatore Marco Aurelio In un sottile stampo d'inchiostro Apprezzava i pensieri intelligenti più dei premi Nobel, non conosciamo le sue preoccupazioni, non pensiamo ovunque: strappiamo le zampe alle mosche, "tagliamo gli occhi per il cielo, falciamo la pioggia all'alba".

Questo calpestio della mente, come le azioni antipoetiche del monaco buddista Zen giapponese medievale di nome Ikkyu Sojun (1394-1481), non porta Tsvetkov a un'intuizione improvvisa, che accadde un giorno al sorgere della luna dal grido di un corvo a Ikkyu, quando si dondolava su una barca in distacco.

Poesia come pensiero e poesia come non pensiero. Con Pushkin sarà diverso. Sergei Averintsev afferma che il suo "verso è stato scelto per il ragionamento, vale a dire il verso", e questa è la sua strada. Lo stesso non si può dire della poesia di Alexey Tsvetkov. I suoi versi servono ad altro: solo espressione, o solo giudizio, o solo condanna.

Udiamo i giudizi duri del poeta, ma non sentiamo né il corso né la corrente dei suoi pensieri, che lo portano a giudizi furiosi. Vediamo solo increspature. Disegno. Geroglifico. Ciò non significa, ovviamente, che il pensiero discorsivo non preceda tutte le espressioni poetiche, sia nascosto e, dopo un'attenta lettura, si riveli in connessioni interrotte; e si rivela la sua discordanza, da cui deriva una sfiducia nel pensiero in quanto tale, o meglio, nella direzione. La sua coscienza, non la sua coscienza personale, ma ciò che modella, è caotica nel suo nucleo.

In altre parole, il lettore non è testimone dell’atto cosciente del pensiero del poeta, ricorrendo né a nasconderlo né a “spacciarlo” per confusione poetica, nella cui autenticità sensoriale si rivelano presunte verità o qualcosa di ineffabile. Anche così, il suo pensiero non è ancora libero. Pushkin ha linee curiose sul nulla e sul libero pensiero, fluttuanti nella purezza celeste senza ragionamento, che potrebbero essere commentate in modo Zen: come coscienza Zen ed essere Zen.

“Respirando con dolce speranza come un bambino, / Se credessi che l'anima una volta, / sfuggita alla putrefazione, porta via pensieri eterni, / E fiamma e amore, negli abissi infiniti, - / Lo giuro! Avrei lasciato questo mondo tanto tempo fa: / Ho schiacciato anche solo la vita, un brutto idolo, / E sono volato via nella terra della libertà, dei piaceri, / In una terra dove non c'è morte, dove non ci sono pregiudizi. / Dove solo il pensiero fluttua nel cielo purezza... // Ma invano mi abbandono a un sogno ingannevole; la mia mente persiste, disprezza la speranza.../ L'insignificanza mi aspetta oltre la tomba.../ Cosa, niente! Nemmeno un pensiero, nemmeno il mio primo amore! / Ho paura!.. E guardo di nuovo triste la vita, / E voglio vivere a lungo, affinché la mia cara immagine duri a lungo Nascosta e bruciata nella mia anima triste."

La mente impedisce la convinzione che l'anima sia imperitura, ma questo fa anche sì che il poeta apprezzi ancora di più la vita, il pensiero, l'amore. Tsvetkov ha la situazione opposta: amarezza verso la vita stessa perché finisce con la morte. Né il pensiero, né l'amore, né una dolce immagine lo salvano dalla durezza di cuore. Se Pushkin parla con il congiuntivo -

"Schiaccerei la vita", quindi Tsvetkov pratica questa frantumazione della vita come poeta. Da questa poesia di Pushkin si dovrebbe costruire un ponte verso l'irrazionalismo romantico di Lermontov, che chiamiamo demonismo.

A proposito, notiamo (un po' tardivamente) che l'immagine di un corvo nella letteratura occidentale è diventata un messaggero del sinistro, e nella letteratura orientale - dell'illuminazione. È esattamente così che si dovrebbe intendere l'haiku di Matsuo Basho: "Crepuscolo autunnale. Un corvo appollaiato su un ramo spoglio".

Anche Alexey Tsvetkov, uno dei primi scrittori, gioca sull'immagine del corvo in numerose poesie e, di regola, è un corvo romantico e sinistro nello spirito di Edgar Allan Poe. Non sappiamo quale poesia usare come esempio: "Un dolce sogno sta cadendo sulla periferia" o "Più vicino alla notte tuonava nella mente"? Forse entrambi saranno curiosi. La poesia di Alexei Tsvetkov rientra nel campo delle motivazioni di Lermontov, ma con la risoluzione opposta.

"Sono un pazzo! Hai ragione, hai ragione! / L'immortalità sulla terra è ridicola. / Come oso desiderare una gloria rumorosa, / Quando sei felice nella polvere? / Come potrei scuotere la catena del pregiudizi / Con la mente libera / E la fiamma del rimorso segreto / Sbaglio per il calore della poesia? / No, non sembro poeta!/ Mi sono ingannato, lo vedo io stesso; / Anche se, come lui, sono estraneo al mondo, / Ma sono estraneo anche al cielo! / Le mie parole sono tristi: lo so; / Ma tu non puoi capirne il significato. / Me li strappo dal cuore, / Per togliergli il tormento! / No... dovrei governare le menti, / Usare tutta la mia vita per questo? / Lasciami elevarmi al di sopra di te, / Ma mi allontanerò da me stesso? / E dimenticherò autocraticamente / Il mio amore perduto, / Tutto ciò che ho creduto appassionatamente, / A cui non oso più credere?" (1832).

Pertanto, il pensiero poetico di Alexei Tsvetkov non si basa sul ragionamento del pensiero, né sull'intuizione del pensiero. E allora? Sulla speculazione sui pensieri... Le linee, come sterpaglie abbandonate a caso nella foresta, possono anche indicare la pratica psicoanalitica di hackerare il sistema del pensiero cosciente attraverso il metodo delle libere associazioni. Tuttavia, il giudizio prevale sulla libera espressione inconscia, quindi l’io rimane nella morsa del pensiero logico nascosto, espresso in immagini di uno spazio chiuso. In realtà, questo apre la possibilità di una critica al pensiero poetico.

* * *

Quindi, diamo un'occhiata alla poesia di Alexei Tsvetkov dal punto di vista della situazione umana. Cosa abbiamo trovato? La conseguente eliminazione dalla poesia prima dell'oggetto teologico - Dio, poi dell'oggetto metafisico - dell'essere, in rapporto o in opposizione al quale il soggetto acquista autocoscienza o coscienza dell'Io, porta al fatto che il soggetto stesso si annienta, si auto- distrugge prima che avvenga la morte fisica dell'intelletto. Qui nasce un altro motivo di paure esistenziali, la distruzione dell'io. Poiché il soggetto non può esistere senza opposizione a qualcosa, cerca febbrilmente un sostituto per gli oggetti perduti. Questa è l’idea di non esistenza. L’io rinasce in relazione alla non esistenza.

Un altro sostegno per lui è il discorso poetico stesso o il parlare come illusione dell'esistenza. Non importa Che cosa parlare e Come per parlare, è importante che questo discorso duri. Questa opposizione di soggetto (coscienza dell'Io) e oggetto (non esistenza), che costituisce una duplice coppia nel pensiero, è la fonte sia del discorso logico che dell'ansia esistenziale. La coscienza cade nello stesso circolo vizioso del dualismo. Per sfondare il vero “io”, emergendo dall'illusorio ego, il soggetto deve rompere questo circolo. Come? Egli deve rispondere alla domanda: “Quando sarai morto e bruciato e le tue ceneri sparse, dove sarai allora?”

Forse, forse, se indichiamo il periodo di tempo dell'esistenza della coscienza dell'uomo di Tsvetkov, sarà il tempo delle sue poesie, quando lo prendono per il petto e chiedono di rispondere: “Chi è lui, questo vero uomo senza titolo?" Questo è il momento stesso dell'eclissi della mente di una persona stordita, perplessa e incapace di essere intelligibile. Rinzai ha invece risposto: “Questo patetico raschiafango...”. Questa è in realtà una traduzione culturale. Detto ancora più duramente. Si trattava di un bastoncino che si usa per asciugarsi in una latrina. Questo non si dice di un vero uomo. Di qualcuno che ha difficoltà a dire quale sia il suo vero “io”. Se una persona non sa qual è il suo “io”, allora ha senso preoccuparsi della morte? Ciò significa che “fisico” non significa la realtà in quanto tale, non è tutta realtà. E di che tipo di misticismo possiamo parlare qui? Semplicemente sulla saggezza, il cui percorso non è facile. La saggezza vive senza ragionamento. Cinici o buddisti Zen: trova tre differenze tra loro. L’idea stessa di dividere il sapone in “occidentale” e “orientale” è assurda, perché non ha direzioni cardinali. Diogene o Socrate erano mistici? “Qualunque strada tu prenda, non troverai i limiti dell’anima: tanto profondo è il suo logos.” Rinzai lo avrebbe capito senza linguaggio, e senza queste parole, solo guardandolo di traverso.

Di cosa è piena la poesia di Alexei Tsvetkov se non di ciò che abbiamo già chiamato altrove: "barbarie accademica", con cui giochiamo da scolari. Può parlare delle “figure di Cartesio”, delle “monadi di Leibniz”, delle “pieghe di Deleuze”, dei “meoni di Minsky”, dei “paradossi di Fermi”, ecc., ecc., ma questo non è tutto. avvicinatelo ancora di più alla chiarezza della ragione o alla saggezza della poesia, e la sua mente rimarrà chiusa. Dovremmo aprirlo almeno con le chiavi principali dei koan buddisti Zen? Alexey Tsvetkov, forse, lo capisce lui stesso quando dice di un altro filosofo: "Wittgenstein ci ha provato ma è rimasto bloccato / nelle sabbie dell'atomismo logico". Il pensiero ha bisogno di ragionamento, cura attenta, attenzione e cura, ma la saggezza arriva attraverso l'intuizione e l'illuminazione.

L'uomo di Tsvetkov vuole liberarsi dalla sua coscienza infelice? Un giorno, dice la leggenda, un uomo venne a Rinzai, pieno di ogni tipo di cultura cinese, ma turbato dalle ansie della sua mente e della sua vita. Rimase al freddo per diversi giorni solo per essere lasciato entrare alla porta del suo mentore. Come segno della verità del suo desiderio, si taglia la mano. È improbabile che una persona come la poesia di Tsvetkov abbia così tanta determinazione non solo per la verità astratta, ma anche per la chiarezza dello spirito. Continuerà a chiacchierare con la sua mente e con la musa a lungo silenziosa, crogiolandosi nei fantasmi di una coscienza infelice e assentendo alle parole del Macbeth di Shakespeare secondo cui la storia umana è “una storia raccontata da uno sciocco, dove c'è molto rumore e passione, ma non c’è significato”.

È con questo mondo umano che entra in conflitto. Con cosa sta lottando? Egli combatte con Dio, con l'essere, con l'autocoscienza, con il pensiero, con la tradizione (secondo Nietzsche), e la poesia in questo caso viene utilizzata come strumento improvvisato di distruzione, e non come obiettivo della creazione... Coscienza dell'Io , per affermarsi, si trova costantemente oggetto di negazione - se non l'uno o l'altro. L'uomo di Tsvetkov combatte con tutti i tipi di Altri. Sta cercando un nemico! Un'altra coscienza cercherebbe un oggetto d'amore per ritrovare se stessa, cioè per diventare autocosciente. E qui ci sarebbe utile Hegel con la sua “Fenomenologia dello spirito” con le sue idee di coscienza, autocoscienza e divenire. Non aver paura, anche noi abbiamo paura. Quando la coscienza, per autoaffermazione, cerca un nemico, desidera solo la sua distruzione e, alla fine, divora se stessa; quando, per gli stessi scopi, cerca un oggetto d'amore, tende al suo possesso, conservazione, trasformazione e dissoluzione nell'oggetto amato.

Quindi, siamo arrivati ​​​​ai motivi psicologici sia della filosofia che della poesia di tutta la coscienza. La mancanza di amore è il motivo e lo sfondo della poetica negativa. La ricerca della verità è ricerca dell'amore, e solo su questa strada è possibile acquisire consapevolezza di sé. “Io amo e odio” sono modalità della coscienza filosofica in relazione all'essere. Qualcos'altro può essere conquistato, ma non diventerà mai oggetto di conoscenza finché non diventerà oggetto d'amore. Pertanto, penetrando sotto la pelle e nella coscienza della poesia di Alexei Tsvetkov, mostriamo il nostro amore. A sua volta, il desiderio di non esistenza nella poesia di Alexei Tsvetkov si trasforma in un oggetto della sua adorazione, e per niente in conoscenza, che è accompagnato da un aumento di significato. Il lato sconosciuto dell'esistenza è sempre maggiore del lato conosciuto, quindi si identifica con la non esistenza, che prima viene evidenziata nella coscienza come categoria di pensiero indipendente, poi comincia a essere pensata senza connessione con la nostra coscienza. In una coscienza si trasforma in una sostanza, in un'altra in una divinità. Nel pensiero poetico di Alexei Tsvetkov la non esistenza è ancora oggetto del desiderio.

Coscienza dell'ego, lussuria, non esistenza, pensiero: in quale rapporto sono correlati tra loro? La coscienza dell'Io, desiderando la non-esistenza, non diventa ancora pensiero; riesce solo a distruggere la struttura grammaticale precedente della coscienza che pensa l'essere, ma non ha ancora creato un proprio linguaggio. In presenza di un simile linguaggio, se sorgesse, la coscienza dell'Io perderebbe l'oggetto stesso: la non-esistenza. E lui non è lì! Questo oggetto è un manichino. Buco della ciambella.

In sostanza, tale poesia aspira a un mondo senza coscienza. Questo è il suo piano, questa è la sua intenzione. Ma che dire della coscienza individuale? Dopotutto, dovrai anche separarti da lui, dirgli addio: filosoficamente, esistenzialmente e fisicamente. Se parliamo di paure nella poesia di Alexei Tsvetkov, allora queste sono paure romantico-nietzscheane di qualsiasi coscienza, come se derubassero l'ispirazione poetica e l'immaginazione involontaria. Queste paure sono polivalenti. In questa poesia non siamo di fronte a pensare nel grande schema delle cose, ma a paure. E, naturalmente, non ci si può aspettare alcuna illuminazione “Zen” in un simile stato d’animo, non importa quanto guardiamo da vicino. Anche se all'inizio ci sembrava che questa poesia, distruggendo il linguaggio convenzionale, si stesse muovendo verso l'“inconscio” nella sua lettura buddista zen, e sembrava che ci aspettassimo un improvviso lampo di intuizione. Ma... questo è l'effetto dell'aspettativa violata. Uno studioso cinese venne da Linzi (Rinzai) con una mente turbata e si tagliò una mano per superare la sua paura. Anche la coscienza, incatenata dalle paure, non si avvicina alla rivelazione artistica, e salvo la frustrazione dei significati, salvo il mosaico di segni, non può dare nulla all'opera. "La decomposizione è il destino di tutte le cose composte..."

* * *

Ernst Cassirer, parlando della tragedia di Heinrich Kleist nel contesto della coscienza romantica, riflette: “La fantasia romantica si sforza di scomporre non solo l'esistenza oggettiva, ma anche quella soggettiva, di abbandonare non solo la certezza reale del mondo, ma anche la certezza di il Sé. Come in una nebbia fluttuante e sognante, qui le immagini del mondo esterno e interno, le immagini dell'esistenza e degli eventi spirituali si intrecciano.<...>Il desiderio di immergersi nell'inconscio e di trovare in esso la salvezza dalle contraddizioni irrisolte dell'essere e del pensiero, tuttavia, in Kleist è chiaramente diverso dalle tendenze veramente romantiche.<...>Anche i romantici proclamavano la dottrina dell'irrazionalità dell'esistenza, dell'incapacità del pensiero di comprendere la realtà... Tuttavia, ciò che Kleist sentiva come un grave rifiuto che lo scuoteva, significava per loro solo l'opportunità di elevarsi con libera ironia al di sopra del mondo delle cose. e la sua necessità immaginaria. Godono del sentimento dell'incomprensibilità dell'esistenza, la cercano e la rafforzano, perché credono che solo in essa realizzano tutta la potenza dell'immaginazione artistica. Kleist è lontano da tale illusionismo estetico.<...>Ciò che per i romantici era solo un mezzo desiderato per un arrogante gioco della fantasia. Porta Kleist al tragico collasso di lui e del suo mondo interiore.<...>È significativo che i romantici, nonostante tutti i loro sforzi teorici e le loro speculazioni sull'essenza della tragedia, non abbiano creato un'unica opera d'arte tragica veramente grande. Amavano sottolineare l'incomprensibile dialettica dell'esistenza, la “dottrina degli opposti”, ma era proprio con il loro atteggiamento ironico-scettico che privavano l'opposto della sua acutezza e della sua tragica serietà. Kleist era pieno di questa serietà."

Siamo propensi ad attribuire quella che viene chiamata l'azione postmodernista al campo della coscienza romantica. Inoltre, non possiamo credere pienamente nella tragica visione del mondo del poeta; ciò è impedito dall’ironia, dal cinismo e dallo scetticismo. Tuttavia, il cinismo, l’ironia e lo scetticismo sostituiscono l’orrore della non-esistenza. Questo è precisamente ciò che impedisce sia l’intuizione Zen che la rivelazione cristiana. Goethe diceva che “la rivelazione, che permette all’uomo di anticipare la sua somiglianza con Dio, è una sintesi di mondo e spirito, che dona beata fiducia nell’eterna armonia dell’esistenza”. Nel pensiero di Cartesio lo spirito e il mondo erano divisi in sostanze pensanti ed estese; questa sintesi produce l'autocoscienza filosofica, artistica e religiosa.

E la poesia stessa? Che tipo di coscienza è inerente alla poesia? Secondo Fichte, l'arbitrarietà ha luogo nell'io empirico limitato, e in esso, come possiamo vedere nell'esempio della poesia postmoderna, né il “senso della verità” né il “coraggio della verità” nella comprensione di Heinrich Kleist è nato. L'arbitrarietà dell'io empirico e la libertà del pensiero poetico non sono la stessa cosa. Qui non basterà la critica letteraria, poiché entreremo nel problema del gusto. Ciò che è richiesto qui è la comprensione filosofica o la conoscenza intuitiva della totalità dell'essere e del divenire. Kant, Schelling, Hegel ce lo offrono loro modi di questa comprensione.

Nella Critica del giudizio di Kant c'è una dottrina del genio. Nella trascrizione di Ernst Cassirer suona così: “Genio” per la critica trascendentale è un'espressione delle stesse leggi estetiche. Non è l'arbitrarietà a dominare, ma la regola più alta, che appare non nella riflessione e nella conoscenza astratta, ma nella creatività stessa. Il genio agisce inconsciamente, come la natura, - nel frattempo, ciò che ha creato - in ciascuna delle sue parti più piccole - è un tutto intenzionale e quindi la creazione dell'“intenzione” artistica. È dominato da bisogno di sé, ma questa necessità viene immediatamente distrutta non appena si cerca di darle la forma di concetti e di esprimerla in prescrizioni astratte generali. Così, in genio, individualità e significato universale, libertà e necessità, il conscio e l’inconscio entrano in un rapporto completamente nuovo”.

* * *

Ma esiste un altro modo, non tedesco, non verbale, non semantico, non metafisico. Questo è il percorso fisico. Di che tipo di unità del mondo e dell'uomo possiamo parlare quando l'io e il pensiero sono inadeguati l'uno all'altro, quando l'io e la fisicità non coincidono? Cosa o chi può pensare in noi? Cos'è un soggetto se è indotto dal pensiero del mondo esterno estraneo, è un prodotto di convenzioni linguistiche? Per trovare l'io bisogna prima liberarsi da questo linguaggio estraneo dell'Altro, imponendo le proprie leggi, i propri paradigmi, la propria grammatica di pensiero.

L’“io” pensante su cui si basava l’esistenza dell’uomo cartesiano, nella poesia di Tsvetkov, ha lasciato la sfera della coscienza e ha messo radici, come vediamo, nella sua fisicità, e forma migliore Pensare per lui sarà, secondo Nietzsche, danzare. "...Non so cosa vorrebbe essere lo spirito di un filosofo se non volesse essere un buon ballerino. La danza è proprio il suo ideale, la sua arte, la sua, infine, la sua unica pietà, la sua" culto" ... "

Perché non ti piacciono le danze sufi? Ballate, compagni! Balliamo il polovtsiano finché non perdi conoscenza, finché non perdi conoscenza, finché non perdi la testa! È allora che puoi essere tutto e nessuno: Dio-compagno-maschera... Pensare infatti è una strada che va percorsa passo dopo passo, con i piedi, fisicamente, anche con il ritmo di una danza. Lasciamoci entrare nella casa della coscienza, dove prima regnava il pensiero, lasciamo entrare lo zingarismo, i sogni, la follia, i miti, i simboli, le metafore: lasciamo che controllino l'esistenza umana.

In che modo danza la mente? Ogni poesia viene letta come una danza, in cui le strutture verbali si incarnano in movimenti di danza, frasi e parole in gesti, buffonate, espressioni facciali... Queste sono le figure con cui la coscienza balla, cercando di liberarsi dal suo portatore, dal suo creatore - Uomo. Nel regno del significato l'uomo aveva un potere assoluto, sotto il cui controllo si trovavano la natura, l'essere, Dio e la vita. Può l'uomo, questa creatura temporanea, immersa nella sua variabilità, generare significati assoluti eterni attraverso mezzi verbali? È possibile la pura coscienza senza linguaggio?

Anche la poesia cade nel campo della sua distruzione linguistica. Tutti i significati, tutte le costruzioni semantiche dei filosofi precedentemente parlati, sono generati dal linguaggio, dalla sua grammatica, dalla sua sintassi. “Wittgenstein al quadrato”, come dice Tsvetkov… Scusate, riserva: “Wittgenstein nel trattato”. Gli eroi della mitologia nietzscheana - animali e uccelli - non hanno lingua. Il canto, l'olfatto, la vista, la danza sono forme della loro comunicazione reciproca. Queste forme consentono loro di distinguere tra “noi” e “alieno”. Ciò è sufficiente affinché gli animali utilizzino il loro orizzonte visivo per costruire lo spazio della loro esistenza come un ambito di esistenza. Ciò significa che sono vicini alla verità o alla saggezza, poiché attribuiamo loro un grado di coscienza e di intelligenza? Non è di questo che stiamo parlando. Dopotutto, il concetto di personalità non è caratteristico della sua bestia. Non costruiscono mondi possibili. Le metafore animali esprimono l'idea di identità personale. Nietzsche suggerisce che la coscienza discreta non può dare una percezione olistica del mondo e dell'uomo, che questo quadro sarà un mosaico, che le connessioni tra i fenomeni della coscienza vengono ripristinate solo grazie alla grammatica.

Questo scetticismo di Nietzsche fu anticipato da Hume. Nel capitolo “Sull’identità personale” scrive: “Preso nel suo insieme, il nostro insegnamento ci porta in questo caso a una conclusione molto importante, vale a dire alla conclusione che tutte le questioni sottili e ingegnose riguardanti l’identità personale non possono mai essere risolte e devono essere considerati piuttosto grammaticalmente che come problemi filosofici. L'identità dipende dalle relazioni delle idee; queste relazioni producono identità attraverso la facile transizione del pensiero da un'idea all'altra causata da esse. Ma poiché sia ​​le relazioni che la facilità della transizione possono gradualmente indebolire, non esiste un criterio preciso in base al quale possiamo decidere una controversia sul momento in cui acquisiscono o perdono il diritto di essere chiamati identità. Tutte le controversie riguardanti l'identità di oggetti in relazione tra loro sono controversie puramente verbali, tranne nel caso in cui i rapporti delle parti diano origine a qualche finzione o a qualche principio immaginario di connessione..."

Nietzsche oppone la sua bestia brutale a queste “finzioni” e “principi immaginari” di connessione. Forse sono stati i suoi animali a fare a pezzi il testo della coscienza grammaticalmente organizzato nella poesia di Alexei Tsvetkov. In natura non esiste punto, né linea, né piano: queste sono astrazioni geometriche della mente, cioè le stesse finzioni, ma questo linguaggio consente comunque di risolvere problemi pratici. È strano che, abbandonando le “finzioni” della grammatica linguistica, il poeta ricorra alle “finzioni” della grammatica geometrica (“la mia patria è la geometria”).

Lo stesso vale per le categorie e i concetti filosofici. Che lingua sta cercando? allineare la tua coscienza poetica: se non verbale, allora... se non geometrica, allora... se non filosofica, allora... Cosa? È ovvio che non si tratta di costruire, ma di sconvolgere... E che, in questo modo, probabilmente si raggiunge l'identità della personalità, e l'integrità della personalità e dell'essere, della coscienza e del pensiero, del soggetto e dell'oggetto. Con un solo suono “OM”... La fine del pensiero e della poesia! Cosa è cosciente nella coscienza? Chi ci pensa? Chiunque può entrarvi e controllare i nostri pensieri.

Ora stiamo cercando di scoprire non le condizioni esistenziali per l'esistenza della coscienza stessa e la sua capacità di esprimere giudizi sull'esistenza, ma i fondamenti filosofici stessi o il campo filosofico di crescita e coltivazione della poetica della tarda poesia lirica di Alexei Tsvetkov. Consideriamo la sua poesia come un'illustrazione di alcuni temi di battaglie filosofiche, come un'antitesi ad alcuni esperienze precedenti filosofia positiva. Cioè, è secondario. Questa poesia si oppone al predominio del “cogito” cartesiano, entrato nella cultura e nella coscienza dell'uomo occidentale. Con questo attacco iniziò l'era di Nietzsche, che cercò di guarire l'uomo dalla coscienza. Lui stesso si è ripreso! È stata la sua follia a diventare la lingua universalis, e non la macchina di pensiero cartesiana – “distinta” e “logicamente chiara”.

È in via di “guarigione” la poesia di Alexei Tsvetkov, che ha già sofferto di alcune malattie infantili: “logos” di Eraclito, “cogito” di Cartesio, “imperativo” di Kant, “inconscio” di Freud, “intenzionalità” e i “fenomeni” di Husserl, gli “archetipi” di Jung, il “cogito pre-riflessivo” di Sartre... Ci sono ancora molte malattie nella sua vita. Ci sono anche malattie orientali esotiche, come il “Tao” e lo “Zen”... Sapete, c'è anche l'“imperativo di attuazione” di Ortega y Gasset, ma per lui era “difficile” e “inevitabile”. Il suo imperativo è diretto oltre la nostra soggettività.

Siamo quindi giunti all'idea che la malattia è una condizione per l'esistenza della coscienza. La poesia sarà una forma lieve della malattia, della nevrosi, della psicosi... Siamo vivi mentre siamo malati; pensiamo mentre soffriamo e danziamo... Poeti, restate sani! E continueremo a identificare le cause della malattia. La nostra strategia è descrittivo-contornata.

* * *

Nell'insegnamento di Husserl, che l'eroe di Tsvetkov, come ricordiamo, “cantava alla vista”, la coscienza ha la proprietà di essere diretta verso un oggetto, è sempre “coscienza su...”, su qualcosa... Se consideriamo la poesia in le categorie della coscienza comprensiva di Husserl, verso cosa è allora diretto il pensiero del poeta? Qual è la sua intenzione? Qual è il suo argomento? Può parlare di molte cose, chiacchierando in modo dandy con il nostro cervello, ma sempre della stessa cosa. Abbiamo già rivelato in precedenza che questo “soggetto” sarà la non-esistenza. Continuiamo a ballare in questa direzione?

Se non abbiamo ancora capito chi è l’uomo di Alexei Tsvetkov, vediamo come lo presenta Edmond Husserl attraverso la descrizione della sua intersoggettività. “Trovo le persone nel mondo come oggetti di questo mondo, le pongo come realtà corporeo-personali, hanno proprietà stabili della loro fisicità... ma anche norme stabili della loro personalità spirituale: hanno una stabile originalità d'intelletto, di carattere , ecc. ., ma innanzitutto e soprattutto hanno credenze stabili; direzioni di volontà stabili con specifici correlati teorici, assiologici e pratici stabili: per loro ci sono angeli e demoni, sirene e gnomi, opere d'arte, mete pratiche stabili, per loro ci sono teorie, verità, vero essere, valori, ecc., conservati come oggetti del loro ambiente intenzionale... Descrivere oggettivamente le persone e l'"umanità" non significa interrogarsi sulla loro realtà.

Lo scrittore, il poeta, l'artista e il compositore si impegnano nella stessa descrizione. Si scopre che l'intersoggettività umana – autonoma e indipendente, ma non priva di interferenze da parte dell'“altro” – è la vera realtà della persona, e immersa in essa, acquisisce l'autenticità della sua esistenza e, quindi, le viene data la verità. Ogni soggetto sventola la sua verità come una bandiera. Nelle mani di alcuni questa bandiera sarà bianca.

La realtà intersoggettiva di Don Chisciotte (come personaggio letterario) è reale quanto ognuno di noi. Quali novità ci rivelano i fenomeni di Husserl? Se per Cartesio la base della sua esistenza era "penso", allora per l'artista questa base sarà "io sperimento", per un credente, ad esempio il principe Evgeny Trubetskoy, ci sarà l'irrazionale "credo", e per Lao Tzu la sua contemplazione e la sua rivelazione.

Il pensiero come esperienza (ripetiamo) è caratteristico della poesia o delle arti. Il critico entra in empatia analiticamente, il lettore sensualmente. Se noi (lettori) non troviamo momenti di empatia, ci allontaniamo dall’opera o ce la caviamo con un’opinione, oppure cominciamo a criticare ciò che è “stabile” (secondo Husserl) nella personalità dell’autore, o nella carattere del suo carattere, criticare i suoi archetipi, i suoi valori, le sue convinzioni, le sue direzioni stabili di volontà...

Abbiamo il diritto di farlo se non siamo il dottor Freud, che offre utilmente un divano al poeta? Estrapoliamo noi stessi nell'“altro”, diciamo, in Alexey Tsvetkov, o nella sua persona, e ci impegniamo nell'introspezione e nella conoscenza di sé, cioè nella nostra stessa soggettività. In un modo o nell’altro, stiamo invadendo l’“intersoggettività” di qualcun altro, proprio come l’autore sta invadendo la nostra. Il lettore e l'autore in questo caso diventano antagonisti, rivali. Oppure si “guariscono” a vicenda.

Quali saranno i criteri etici ed estetici quando inizieremo a giudicare l’“intersoggettività” di un’opera d’arte? Quale coscienza può darceli? Ognuno di noi è pieno della propria verità personale. Ma alcuni di noi ne hanno bisogno per trovare riconoscimento nell'Altro: nel lettore, nel compagno, nel mondo, nel nemico... È così che la critica psicoanalitica e ontologica vengono introdotte nella poesia, soppiantando l'estetica.

L'“Altro” nella poesia di Alexei Tsvetkov è la Non-esistenza o la Morte. Il poeta non ha nessuno a cui rivolgersi. La sua coscienza poetica è chiusa in se stessa, ma a differenza della “coscienza pura” di Husservl, anch'essa chiusa e immanente, non è orientata verso l'“alter ego”. Proietta dentro di sé qualcun altro ed entra in polemica con lui - religiosa, filosofica, assiologica... E così rivela la sua esistenza, ma non la coesistenza-con-gli-altri. È curioso che per Husserl questo “altro” fosse l’intero mondo circostante (Umwelt), per Ortega y Gasset fosse “l’intera vita umana”. La loro filosofia della coscienza è piena di significato personale specifico.

Il significato personale nelle controversie poetiche di Tsvetkov non sorge, si limita a "frustrare" e non viene trattenuto, come l'acqua viene trattenuta in una goccia di rugiada a causa di legami molecolari. Con la perdita di questo significato personale - l'attrazione atomica - l'“io”, che costituisce la coscienza, viene disperso o decentralizzato, che si ritrova alla mercé dell'“altro” o dell'“alieno” aggressivo... L'“io” appare in molte maschere ed è temporaneamente associato a qualche idea o, nel peggiore dei casi, alla fisicità. Un animale, ad esempio, si associa ad un branco, ad un leader, al suo potere. L'idea nella coscienza svolgerà la funzione di comunicazione, svolta al livello minimo, a livello della monade. L’“io” non esiste da solo, è associato a qualcosa, proprio come una madre si associa a un bambino… Nella fenomenologia di Husserl ciò si chiama intenzionalità, focalizzazione “su…”

L'intenzionalità come appello al mondo permette a qualsiasi soggettività di estrapolare la sua coscienza nel mondo esterno, in noi, in un albero, ecc., e di rapportarsi ad essa, a noi. L'"io" si rivela attraverso il suo rapporto con l'oggetto. Questo è co-essere-con-il-mondo. Ortega y Gasset, sostenitore e critico della teoria fenomenologica di Husserl, scrive: "Il mondo si riempì improvvisamente di persone, e il significato cominciò a trasudare da tutti i suoi pori. Le cose divennero pori, tutte le cose: lontane e solenni - Dio, le stelle, i numeri , così come sentimenti simili, calamaio che esalta davanti allo scrittore la sua monumentalità quotidiana. Ognuna di queste cose cominciò con calma e decisione ad essere quello che era, ad avere un modo definito e immutabile di essere e di comportarsi, ad avere una "essenza", consistere in qualcosa di stabile o, come ho detto, avere consistenza.<...>La coscienza non è più prigioniera... Sono me stesso proprio quando mi rendo conto delle cose, del mondo... La verità è che esisto nel mio mondo e con il mio mondo, e il mio sé consiste nell'occuparmi di questo mondo, è vederlo. immaginala, pensala, amala, odiala, sii triste o allegro in essa e grazie ad essa trasformala o soffrine." ("Cos'è la filosofia?")

L’insegnamento di Ortega sulla “ragione vitale” o sul “raziovitalismo” sarà forse estraneo al pensiero poetico di Tsvetkov, e per analogia negativa la sua poetica può essere chiamata “razionalismo”. Questa è una parola secca. Si sta sgretolando. “Quando sarai morto e bruciato e le tue ceneri sparse, dove sarai allora?”

Ovunque. Ovunque. Luogo inesistente...

* * *

Come si raggiunge nel pensiero la connessione con il nulla o la non esistenza? Come la voce di chi grida nel deserto. Il tentativo di stabilire una connessione con la non-esistenza è un tentativo nascosto di continuare e sopravvivere all’“essere in sé”. Quando Alexey Tsvetkov parla della sua poesia come di un progetto, la leggiamo come un progetto di non esistenza. Tuttavia l'agente attivo non è il nulla stesso, ma il poeta. Per fare questo, deve diventare il suo alter ego, non io. Lo chiama, lo evoca con ogni messaggio. Lui è una guida. E' uno stalker. E saremo presentati, saremo guidati. Il poeta alza il piede sopra l'abisso e tenta di fare il secondo passo. Questo passo è onirico, sonambulistico. Il suo pensiero si interrompe, ma proviamo a continuarlo con il nostro testo.

Il suo uomo appartiene alla razza dei sogni. Entriamo nel suo sogno con gambe deboli ed esistiamo come un burattino che cerca di capirne l'intrigo. L'autore attribuisce a questo intrigo lo status di leggi della sua mente. Entriamo in una discussione, ci indigniamo, analizziamo, confutiamo. Ci sembra strano che il poeta abbia scelto come unico possibile questo particolare progetto della sua strategia esistenziale filosofica e poetica. Per lui è l'unica valida. È l'unico necessario per lui. Considerare la propria vita come morente anziché appagante è, in sostanza, un rifiuto del proprio destino, una resistenza all'imperativo della vita.

Ortega y Gasset, penetrando nella “mente vitale” di Goethe, descrivendo il suo percorso “dall’interno”, rimprovera al poeta, con nostra sorpresa, tale diserzione dalla sua vocazione. "Goethe era al servizio della sua vocazione o era un disertore dal suo destino?" Possiamo solo supporre che l'idea di non-esistenza nella poesia di Tsvetkov, da lui intesa unilateralmente, almeno non in modo hegeliano (altrimenti parleremmo dell'idea di divenire), sia una forma di fuga, evasione esistenziale.

Dirai che questa è psicologia e non ha nulla a che vedere con la poetica. Anche la psicologia si fonda sulla “parola d’onore”, proprio come la filosofia. Questa parola traballante e inaffidabile riflette una comprensione delle cose. Da qui tutta l'ansia. È difficile confondere questa preoccupazione con buffonate e buffonerie. Ci viene trasmesso attraverso sorrisi, risatine e ironia. Forse dobbiamo fare la vecchia cosa: disporre le parole in un ordine migliore o raddrizzare il discorso. In breve, la scienza della logica. Ogni persona (tranne Kant) aspira al bene e alla felicità. È qui che si trovano la sua verità e i suoi valori. Non puoi dirlo in modo più diretto. Il discorso diretto in poesia è insipido. È vero, Theodor Adorno, apologeta dell'estetica negativa, dice ambiguamente: “Quell'arte che nega a se stessa la felicità di godere del brillante multicolore che la realtà rivela all'umanità e quindi si priva della minima traccia sensoriale di significato è arte spiritualizzata; ma in tale un rifiuto stoico della felicità infantile contiene tuttavia un’allegoria della felicità non illusoria, realmente esistente, con quella clausola fatale che ci ricorda che tutte queste sono chimere, che non esiste felicità.

I filosofi non danno risposte dirette, incoraggiano solo la riflessione; ma i poeti possono farlo. La franchezza del discorso (per nulla socratica) è la tecnica speciale di Tsvetkov. A cosa è collegato questo? Con un desiderio di autenticità sensoriale immediata. La Fenomenologia dello Spirito inizia con la descrizione di tale forma primitiva di coscienza. Forse il poeta ricorre a una deliberata riduzione della coscienza per mostrare l'impotenza del pensiero umano, nonostante tutti gli sforzi secolari.

A proposito, i filosofi personalisti cattolici francesi, in particolare Emmanuel Mounier, primitivizzano in qualche modo la “coscienza”, anteponendola alla “personalità”. Scrive che "la coscienza blocca una persona in uno stato immobile; grazie alla coscienza, una persona è diretta verso l'oggetto della sua attività, non sapendo cosa c'è alla sua destra e alla sua sinistra"; che in una persona “la capacità di rivelazione domina la capacità di conoscenza”, che reagisce “il più delle volte in modo rude, piatto, a intermittenza”; che è “schiavo di impulsi stereotipati”, “incapace di spirito, ironia, azione complessa” senza previa preparazione...

Se porti come coscienza all'estasi mistica mediante l'esercizio della volontà, allora riceveremo la coscienza Zen nella sua forma pura con tutta la sua primitività, paradossalità, ruvidità e luminosità. Per fare questo, devi spremere la vecchia personalità dalla coscienza. La personalità nelle poesie di Tsvetkov è repressa in un modo o nell'altro. Resta una voce senza nome, impersonale. La voce del Nulla, o colui che parla per suo conto. Di chi è questa voce? Ah, sia la voce del Corvo, come simbolo dell'irrazionalismo!

Quindi, la coscienza per i personalisti è la voce dell'impersonale o dell'inconscio; si oppone all'attivo persona creativa. I filosofi personalisti cattolici si affidano o guardano indietro all'idea dell'anima immortale e dell'intelletto personale di Tommaso d'Aquino, che ripensava l'insegnamento di Aristotele sull'eternità delle forme e sull'anima, la custode di queste forme. Pertanto, il problema epistemologico passa in secondo piano e l’idea di rivelazione viene contrapposta al “lavoro della coscienza”.

Se ascolti i versi di Tsvetkov, la sua persona è privata sia delle capacità cognitive che del dono dell'intuizione extraintellettuale. Cos'è veramente? È in qualche modo triste realizzare la tua mediocrità e privazione! “Sia ciò che vive in noi sia ciò che ci respira / Dal legamento dei cordoni ombelicali all'espirazione nel nulla, / Per la povertà dell'anima, chiamiamo sogni, / Fin da piccoli abbiamo costruito un setaccio nel cervello. "

E non è chiaro Che cosa vive in noi e Che cosa ci respira. Vive e respira! E, soprattutto, perché è necessario qualcosa che faccia affidamento su di noi, su una creatura così mediocre come persona? Nessun altro su cui fare affidamento? A quanto pare quella creatura è debole, anche se è più grande di noi... Non ti dispiace affatto per una persona del genere. Dovrebbe bruciare all'inferno o ad Auschwitz. È una specie di pianta inanimata. Non c'era bisogno di tutti questi nostri “campani e fischietti” filosofici, di elenchi di nomi e di citazioni estese! Non è vicino alla verità, né alla ragione, né allo spirito, né all'assoluto, né all'essere supremo. Non ha nemmeno un desiderio di perfezione; solo diffidenza nei suoi confronti...

“Discenderò, come un tempo il mio antenato, / Nel vuoto dei cieli lilla, / Nell'interfluenza immacolata, / In modo che le voci non arrivino lì / Dalle valli dove il corpo umano / L'arte della vita continua. " Di che mestiere parli? Il mestiere del poeta è il suo discorso. Questo mestiere non è portato avanti dallo spirito, ma dal corpo. Uomo-macchina. “Lascio in eredità la parola, la luce dagli occhi azzurri...” A chi lascia in eredità? Cosa rappresenta in sé questo discorso? Sembra che si dica della poesia: “L’arte della libertà forzata, / Il paziente riposo dell’assenza d’amore”. La vita è assurda, l'uomo è mediocre, l'uomo è volitivo e tutto finirà nel nulla. Una storia di insignificanza umana. Questo è tutto ciò che Alexey Petrovich vuole raccontarci con la sua poesia... Una storia triste...

* * *

Da dove vengono tali verità? Dall'esperienza, dalla storia umana. Lo stesso Munier, giocando sull'idea cristiana del peccato come “essere davanti a Dio”, che si oppone al “nulla” esistenzialista nel senso di “mancanza di essere”, dice che “la storia dell'uomo è la storia dell'uomo”. il suo sentimento di inferiorità e la ricerca della soddisfazione di questo sentimento”. La filosofia del personalismo distingue tra le verità della rivelazione e le verità della coscienza. Nella poesia di Alexei Tsvetkov, tutte le “verità” sono negative: non hanno né epistemologia né rivelazione.

Cosa dobbiamo fare e come possiamo affrontare questo problema? Il mondo come oggetto e l'uomo come soggetto sono separati l'uno dall'altro. Forse quello che Tsvetkov chiama un “buco”, che acquisisce lo status ontologico di non esistenza, è proprio questo essenziale gap-gaping di estremo “disadattamento” secondo il pensiero di Mounier. Allo stesso tempo, crede che la distanza tra soggetto e oggetto sia necessaria per dare al soggetto l'opportunità di manovrare nella costruzione della sua strategia di valore al fine di mantenere la sua autonomia. Pertanto, la posizione migliore per una persona sarebbe un adattamento incompleto - "sottoadattamento". È proprio questa distanza che Mounier chiama “spazio vitale”, contrapponendola allo “spazio geometrico”, dove avviene l’“essere intimo” della persona e la sua “uscita oltre i limiti del sé interiore”. , pieno di intelligenza vitale, nella poesia di Tsvetkov è sostituito dallo spazio geometrico del nulla. È così che la geometria diventa casa.

La cosa interessante è questa: sarà vicino alla pratica Zen: prima di andare oltre se stessi, nel mondo esterno, una persona deve immergersi dentro se stessa, sospendere l'attività della coscienza e, in uno stato di distacco dal mondo, trovare qualcosa di valore insito in se stesso. Rinzai direbbe che dovrebbe affrontare il suo vero sé, chiamarlo per nome e forse anche sputargli in faccia per buona misura. Sembra che siamo di nuovo ironici. Ebbene sì, come nell'imperativo paradossale Zen che richiede l'uccisione del Buddha durante l'incontro. Sputarsi in faccia va bene, ma è disgustoso, e bisogna opporsi al vento, cioè ribellarsi a se stessi... I filosofi personalisti cattolici sperano di incontrare Dio “lì”. Chi “va” per qualcosa nel sottosuolo della sua coscienza, ottiene ciò che ottiene alla fine di un lungo viaggio... Se scendi per la morte, lo otterrai! Desiderato come intenzione del pensiero... La forza del desiderio è volontà...

In questa immersione nella sua coscienza poetica, Alexey Tsvetkov, e dopo di lui il suo lettore, incontrano la negatività e l'ostilità - sia il mondo, l'autore, la non esistenza o Dio... Dopo averlo esplorato nelle manifestazioni del pensiero, nelle sue forme , siamo in grado di acquisire il nostro arsenale protettivo di valori che troviamo nelle connessioni con l'essere e l'amore. “Rendere umano tutto ciò che esiste”, ci dice Alexander Blok...

La parola, chiusa in se stessa, non aperta al mondo, ma come se custodisse il “nascosto” dell'essere, dovrebbe concludersi nel silenzio assoluto. Per fortuna questo non accade. Il “Niente” parla, chiama a sé, anzitutto al poeta. E mentre il poeta parla, per quanto le sue poesie esprimano il nichilismo che ci trabocca, ciò significa che il sentimento di fiducia nel mondo non lo ha ancora abbandonato, altrimenti sarebbe rimasto in silenzio.

A proposito, questo tipo di riflessione autoriale corrisponde nella tarda estetica di Gottfried Benn al concetto di “poesia assoluta” che non ha il suo destinatario, cioè ermetico. Quanta sventura può volare fuori dallo scrigno ermetico della Musa “tutto dotata”, che sedusse l'angusto Epimiteo (poeta)! La musa come strumento di vendetta nelle mani degli dei. In prosa autobiografica" Doppia vita"Scrive a nome del suo eroe Renne: "Il discorso, secondo lui, non dovrebbe essere rivolto a nessuno se vogliamo onestà: le parole rivolte a un'altra persona sono diventate da tempo una bugia".

Tuttavia il poeta, il nostro poeta, continua a usare parole che sono diventate per lui “messaggere di inganno”, anche se si rivolge a se stesso o, più precisamente, a “nessuno”. Questo tipo di poesia è falsa. Il suo inganno è una forma negativa di speranza rimasta sul fondo del vaso di Pandora. La parola preserva sia la voce che l’esistenza del poeta. Che la parola di questo poeta sia dunque sofferenza, nervi, psicosi... Le intuizioni del mondo e il concetto di vita: cosa dovrebbe farne la parola poetica?

“Non ho convinzioni, solo nervi”, grida Akutagawa Ryunosuke in difesa di tutti i poeti del mondo. È questo esaurimento nervoso che Gottfried Benn supera: "L'esistenza è l'esistenza dei nervi, cioè irritabilità, disciplina, enorme conoscenza dei fatti, arte. Soffrire significa soffrire sotto l'influenza della coscienza e non dalla morte. Lavorare significa elevarsi a forme spirituali. In una parola: la vita è vita provocata."

E cosa dovrebbe essere una poesia se non una forma provocata di spiritualità nella sua incarnazione estetica o quasi estetica? Una poesia è come una provocazione, come un esaurimento nervoso, come un eccesso, ma non come il pensiero. Cosa significa elevarsi a forme spirituali? Ciò significa l'acquisizione dell '"unità della personalità" - indistruttibile per i personalisti e dubbia per Gottfried Benn. La sua idea di poesia assoluta è in un certo senso espressione dell'anelito all'io assoluto, che si trova solo nella partecipazione al trascendente.

La storicità della coscienza conferisce al tempo un carattere sensibile discreto. Essere fuori dalla storia è il desiderio della poesia di sfuggire al flusso della temporalità. Rivolgendosi agli artefatti culturali, ai nomi mitologici o al mondo delle idee filosofiche, il poeta cerca di superare la sua temporalità, poiché lo spirito ha cessato di essere un messaggio romantico di pensiero di una coscienza ribollente (proteistica, empirica), traboccante di demoniaco voci e imperativi.

Questa è la sindrome post-romantica, come la intendiamo noi. O “romanticismo straziante”, come direbbe Mario Pratz. Un artefatto culturale, un mito, un'idea filosofica: la stessa partecipazione ad essi dà origine a esempi poetici di una lotta impotente per preservare l'unità della propria personalità. Questa lotta è ancora una manifestazione della volontà o intenzione della coscienza.

Nei “Fondamenti della metafisica dei costumi” Kant scrive: “La ragione, l'ingegno e la capacità di giudicare - e come si chiamano i doni dello spirito, o coraggio, determinazione, determinazione, come proprietà del temperamento sotto certi aspetti, sono buone e desiderabili, ma non possono diventare anche estremamente cattive e dannose, se non la buona volontà, che dovrebbe servirsi di questi doni della natura e le cui proprietà distintive sono perciò chiamate carattere”.

Volontà e carattere sono le fonti di ogni pensiero. Buona volontà... Dai frammenti del discorso stiamo cercando di ricreare l'integrità perduta della personalità della persona rappresentata nella poesia di Alexei Tsvetkov, e questo è ciò a cui mira il nostro testo. Anche se la moralità umana si basa sulla metafisica, senza la quale Kant non può soffocare, allora è naturale assumere la metafisica come metodo di pensiero nella stessa poesia. Ma come può affrontare questo metodo se tutto ciò che prima era considerato eterno l'ha lasciata? La coscienza ha perso i suoi concetti fondamentali (cosmo antico, Dio medievale, spirito hegeliano) e si è ritrovata nel vuoto della non-esistenza come realtà. Se pensi, allora cosa?

L'eternità stessa nelle poesie di Alexei Tsvetkov sembra essere una sorta di mostruosità quantitativa, come nell'ode incompiuta di Albrecht Haller: “Accumulo l'oscurità dei numeri, / accumulo milioni in montagne, / accumulo tempi, / Innumerevoli distese di mondi; / Quando arriveranno le altezze folli / ti guardo, allora sei / Più in alto dell'esempio / Di tutti i numeri e di tutte le misure: / Sono solo una parte di te..."

A cosa dovrebbe associarsi una persona in questa incommensurabile eternità per rimanere se stessa, almeno un essere umano? Con il corpo, con la sessualità, con la temporalità, con l'empirismo, con l'inesistenza, con Dio, con il Genio Poetico?

Né l'“essere presente” di Hegel, né l'“esistenza” di Kant, né il “Dasein” (“qui-essere”) di Heidegger non possono più essere scossi dal sacchetto poetico di Alexei Tsvetkov, per quanto la nostra mano vi frughi dentro. E al diavolo tutti questi cumuli di concetti metafisici tedeschi! Era fur Einer ist er?

Chi è questo “vero uomo senza titolo”? Dove diavolo è caduto, in quale buco? Cos'è, è una specie di fattorino che può rispondere al nostro primo grido e chiamata? Siamo noi che dobbiamo corrergli dietro... Se questo" un vero uomo senza titolo" in filosofia, secondo Hegel, dovrebbe esserci la "ragione", che è il pensiero, il "puro "io" in generale", mentre in poesia dovrebbe essere solo il "genio". È un male per tutti noi se il il poeta non è un genio...

: SMOG e neve. In memoria di Andrej Bitov [In qualche modo, gradualmente, impercettibilmente, mi sono abituato al fatto che esiste, che è presente nel mondo, e al fatto che scrive in prosa e parla - sempre interessante, colorato...] Miyasat Muslimova: “A proposito del pane raffermo e del frutteto di ciliegi…” [La dimensione artistica e quella intellettuale sono indissolubilmente legate nella poesia di V. Khatenovsky, che percepisce il mondo attraverso gli occhi di un artista, ma non tanto come un riproduttore...] Viktor Khatenovsky: Il tuo silenzio mi priva del potere [Privato del potere dal tuo silenzio - / Piango la notte di Capodanno. / E l'oscurità delle strade di Mosca / Non mi può aiutare in alcun modo...] Andrey Zemskov: Discorso dimenticato [Bene, arrivederci. Il battello a vapore ronza. / Forse, fino a futuri incontri / Ce ne andremo, ce ne andremo, ce ne andremo - / Il fiume in piena, i discorsi dimenticati...] [Somiglia al viso e all'acconciatura con riccioli / un ritratto di Fayum che parla russo, / ...] Alexander Krupinin: poesie urbane [E versi sciolti, e una falena della neve, / E lo scricchiolio dei passi, e le teste dei passanti - / La fredda città si contorce ai nostri piedi, / Come se volesse scoppiare, ma non può...]

Nell'architettura, nelle belle arti e nelle arti decorative, la proporzione è proporzionalità, una certa relazione di parti (forme) tra loro e con l'oggetto nel suo insieme, una delle manifestazioni dell'armonia.

Essendo la base della struttura di qualsiasi opera d'arte, le proporzioni sono un mezzo di espressione artistica di relazioni oggettivamente esistenti in natura. La resa delle proporzioni esatte degli oggetti raffigurati è una delle condizioni per la loro fedeltà alla natura. L'assenza o la violazione delle proporzioni porta alla perdita di armonia e integrità armoniosa dell'oggetto raffigurato.

Nella pratica, in particolare nella pratica architettonica, si sono storicamente sviluppati molti sistemi di proporzioni. Pertanto, l'antichità era caratterizzata da proporzioni numeriche, visivamente percepibili; per il gotico medievale: geometrico, incommensurabile nei numeri, proporzioni nascoste; Durante il Rinascimento, il concetto principale di proporzione perfetta era la dottrina della sezione aurea, utilizzata soprattutto nella scultura.

La dottrina delle proporzioni comprende le leggi fondamentali della composizione del costume: statica e dinamica, simmetria e asimmetria, ritmo e plasticità.

Diamo un'occhiata ai principali tipi di proporzioni.

In matematica l’uguaglianza di due rapporti si chiama proporzione. Per formare una proporzione, devi avere almeno tre valori. Ad esempio, è necessario dividere il segmento AB (fig. 75) in due parti AC e BC in modo che tutte e tre queste quantità siano legate da un rapporto proporzionale, cioè soddisfino la condizione AB = AC + BC. Otteniamo solo due proporzioni:

L'ultima proporzione è chiamata sezione aurea ed è espressa dai seguenti rapporti: 3: 5 o 5: 3; 5:8 o 8:5; 8: 13 o 13: 8, ecc. In ciascuno di questi rapporti la somma di due numeri forma un intero, che sta al numero maggiore come il maggiore sta al minore.

In pratica, per trovare i rapporti della sezione aurea, conviene utilizzare un metodo grafico. Dal punto A del segmento AB (Fig. 76), da dividere, si traccia una perpendicolare a tale segmento, sulla quale è posato un segmento AC pari alla metà del segmento AB. Collega i punti B e C. Sull'ipotenusa del triangolo formato, dal punto C, traccia un segmento CB uguale al segmento AC. Successivamente, sul segmento AB dal punto B, viene posato il segmento BE, uguale al segmento BB. Il punto E divide il segmento AB in due parti secondo il principio della sezione aurea.

Infatti, secondo il teorema di Pitagora

e questo è il principio della sezione aurea.

Nelle arti visive, la proporzionalità delle quantità lineari può essere risolta utilizzando due proporzioni fondamentali:

1) divisione in parti uguali - il principio di identità e 2) divisione in parti disuguali - il principio di diversità.

Entrambe queste proporzioni non sono concetti matematici astratti. La loro manifestazione è osservata nella natura e, in particolare, nella struttura della figura umana. Ad esempio, nella zona dell'ombelico, il corpo di un neonato è diviso lungo la lunghezza in due parti uguali. La divisione naturale della figura proporzionalmente piegata di un adulto in due parti lungo la linea di cintura è espressa dal rapporto aureo; la metà del corpo cade sulla fusione pubica.

Dividere una linea, un piano o un volume in parti uguali, cioè secondo il principio di identità, provoca una sensazione di pace, statica (vedi Fig. 75, a). La divisione in parti disuguali - secondo il principio della diversità - evoca una sensazione di movimento, dinamica (vedi Fig. 75, 6). Il primo principio è associato alla legge di simmetria, il secondo alla legge di asimmetria.

Le proporzioni considerate e i principi di divisione sono per l'artista il punto di partenza, che utilizza nella risoluzione del modello. Seguendo il suo piano, cercando la sua incarnazione figurativa, l'artista deve prima di tutto cercare i rapporti più espressivi tra le parti e l'insieme, cioè i singoli capi di abbigliamento e l'intero costume nel suo insieme. Ad esempio, utilizzando la triplice divisione di una stessa forma, combinando i principi di diversità e uniformità delle proporzioni, si può ottenere una grande varietà nella risoluzione della composizione, come si può vedere dalla Fig. 77. Nel primo caso le proporzioni si ottengono dividendo in parti uguali (Fig. 77, a); in un altro caso - per divisione in parti disuguali secondo il principio della diversità simile (Fig. 77, 6); nel terzo - secondo il principio del contrasto della diversità (Fig. 77, c). Dal secondo al terzo esempio aumenta la sensazione di movimento e di dinamica. Di conseguenza, la simmetria e l'asimmetria appaiono più chiaramente. La struttura ritmica della composizione diventa più complessa. Tutto ciò è stato facilitato dalla forte differenza nelle dimensioni delle aree formate dalle linee di divisione; il loro rapporto contrastante tra loro e con l'insieme ha rafforzato e acuito il suono emotivo complessivo. Di conseguenza, partendo dagli schemi fondamentali delle proporzioni, modificando in maggiore o minore misura i rapporti di quantità esistenti in tali schemi, si possono ottenere effetti semantici sempre più nuovi.

Il campo della creazione di costumi è principalmente l'arte delle proporzioni. In un costume, le proporzioni giocano un ruolo particolarmente importante: l'espressività figurativa del costume e l'aspetto della persona stessa dipendono dal rapporto tra le sue singole parti e la figura umana. Poiché il costume comprende vestiti, accessori vari e acconciatura, è necessario tenere conto della forma e delle dimensioni del copricapo o dell'acconciatura, della forma e dell'altezza del tacco della scarpa, del numero e della natura dei gioielli. Insieme, tutti questi componenti influenzano la natura delle proporzioni. Inoltre, poiché una persona si muove e la sua figura è voluminosa, i rapporti e le proporzioni tra i singoli elementi che compongono l'abito (vestito, cappello, scarpe) e le singole parti dell'abbigliamento (corpetto, maniche, gonna, colletto ) può essere diverso a seconda della situazione esaminando la figura con lati diversi: dal davanti, di profilo o dal retro.

A seconda di ciò che in un momento o nell'altro è incluso nel concetto di bellezza, in un'epoca o nell'altra, nascono forme specifiche di costume con proporzioni adeguate.

Figura 78

Diamo un'occhiata ad alcuni esempi tratti dalla storia. I disegni che illustrano questi esempi riproducono in modo generale e schematico le costruzioni più tipiche dei costumi dei corrispondenti periodi di tempo.

L'idea della bellezza femminile nei secoli XIII-XIV. si sviluppò sotto l'influenza dello stile gotico e si espresse nell'allungamento artificiale delle forme (vedi Fig. 2). Un copricapo alto, un corpetto stretto e corto, una gonna svasata con un lungo strascico e scarpe allungate: tutto ciò creava l'impressione di una figura alta. La sagoma frontale della figura in abito si inserisce in un triangolo isoscele allungato (Fig. 78, a). La linea che collega il corpetto con la gonna, posta sotto il busto, divide l'abito e la figura in due parti di dimensioni molto diverse e crea rapporti nettamente contrastanti tra loro (1: 6).

Di profilo, la figura dalla parte superiore del copricapo alla parte inferiore del vestito e all'estremità dello strascico ha proporzioni e forma completamente diverse (Fig. 78, 6). Da dietro, grazie al lungo strascico, la figura appare innaturalmente allungata; di conseguenza, si crea un contrasto ancora maggiore nelle proporzioni del corpetto e della gonna.

Il Rinascimento creò nuove forme e proporzioni nell'abbigliamento femminile. In conformità con ciò, si stanno diffondendo un corpetto stretto molto aperto, spalle larghe (lussureggiante nella parte superiore o lungo l'intera lunghezza della manica) e una gonna voluminosa. La figura si inserisce in un rettangolo (Fig. 79). Il rapporto tra la larghezza delle spalle e la larghezza della gonna è quasi uguale a uno. La vita è in un luogo naturale e crea un rapporto verticale contrastante tra il corpetto e la gonna (1:3).

Figura 80

Un esempio lampante di forme e proporzioni artificiali è il costume femminile del XVIII secolo. Le donne stringevano i loro corpi con un corsetto a tal punto che la loro vita sembrava un pioppo tremulo. Con l'aiuto delle strutture del telaio, una gonna di immensa larghezza ha ricevuto le forme più bizzarre. Le scarpe erano molto tacchi alti. Tutto ciò, combinato con un corpetto aperto, ha portato al fatto che la parte superiore della figura sembrava incomparabilmente più piccola della parte inferiore, la testa, le braccia e le gambe erano molto in miniatura e aggraziate. Il rapporto contrastante dei volumi delle parti superiore e inferiore dell'abito ha dato l'impressione di raffinata fragilità e grazia. figura femminile. La sagoma dell'intero costume si inserisce in un triangolo (Fig. 80), ma con una base più grande di quella mostrata in Fig. 78. La forma dei triangoli era ripetuta dal rivestimento del corpetto e della gonna. Convergendo in corrispondenza della linea di cintura, questi triangoli focalizzano l'attenzione sulla vita, rendendola visivamente ancora più sottile. Anche i rapporti di taglia orizzontale (larghezza delle spalle, vita e orlo della gonna) si basano sul contrasto: le spalle appaiono larghe rispetto a una vita molto sottile, una gonna ampia rende visivamente la vita ancora più grande.

Nell'era del classicismo, il costume femminile fu liberato dalle strutture artificiali (furono rimossi corsetti e crinoline); vengono create nuove proporzioni. La loro naturalezza verticale viene interrotta spostando la linea di cintura sotto il petto (per analogia con l'epoca gotica). Corpetto morbido - con scollatura profonda; La gonna dritta e fluida sul retro si trasforma in un piccolo strascico. La morbidezza delle linee e la libertà della forma dell'abito da donna ricordano le forme dell'abbigliamento in stile antico. L'intera silhouette della figura si inserisce in un rettangolo allungato (Fig. 81) con rapporti orizzontali simili (la larghezza delle spalle, della vita, dei fianchi e del fondo della gonna). Il rapporto verticale tra un corpetto corto e una gonna lunga e dritta è di circa 1: 6 (dalla parte anteriore), 1: 6,5 (dal profilo) e 1: 7 (dalla parte posteriore). L'intera figura era divisa in tre parti dall'abito. L'acconciatura a forma di nodo sulla nuca sembrava allungare la linea del collo della testa ed era abbinata alla linea morbida della gonna (di profilo). L'importanza predominante delle verticali era sottolineata dalla presenza di lunghi scialli colorati.

Successivamente, la gonna inizia ad essere decorata con vari fronzoli, pizzi, capesante e altri elementi decorativi. Nella sua parte inferiore diventa più pesante e si espande; Anche il corpetto nella zona delle spalle è allargato artificialmente. L'abito diventa più complesso: non è diviso in due, come prima, ma in tre parti. Anche le maniche sono divise in tre parti in vari modi. La figura, a sua volta, è divisa in quattro parti. Visivamente diventa meno alta e snella (Fig. 82). La silhouette si inserisce in un trapezio allungato.

In tutti questi esempi occorre notare un dettaglio molto significativo: non importa quali siano i rapporti tra le singole parti del costume, non importa in quante parti sia suddiviso l'abito stesso, in tutti i casi è lungo, coprendo il gambe. I vestiti iniziano ad essere più corti, non fino al pavimento. La progettazione di un costume diventa più complicata, poiché ottenere una connessione visiva riuscita tra la parte aperta delle gambe e l'abbigliamento è un compito difficile e responsabile. La misura in cui le gambe sono aperte è un fattore molto importante nella composizione, importante quanto il restringimento o l'allargamento del punto vita, del fondo della gonna, delle maniche, ecc. Da quanto sono aperte le gambe, di che forma e dimensione dei tacchi delle scarpe, dipende dal generale percezione visiva figure in costume. La formazione e il cambiamento della moda si basano in gran parte sul cambiamento del rapporto tra la parte aperta delle gambe e il vestito.

Figura 83

Nella fig. 83 mostra un abito del secondo decennio del nostro secolo. In quegli anni la lunghezza della gonna non arrivava alle caviglie, lasciando scoperta la parte più sottile della parte inferiore della gamba. Pertanto, le gambe calzate con scarpe col tacco appaiono piccole e sottili, soprattutto se abbinate alla gonna piuttosto ampia dell'abito.

La silhouette del vestito e l'intera figura si inseriscono in un ovale. La figura è divisa in quattro parti, ciascuna delle quali è interconnessa con le altre, costituendo insieme le proporzioni del costume in voga per quel periodo. Caratteristica di queste proporzioni è l'uguaglianza delle dimensioni della testa e della parte aperta delle gambe (segmenti 1 e 4 verticalmente) e la differenza nelle dimensioni del corpetto e della gonna (segmenti 2 e 3), espressa dal rapporto 1 : 2.5.

Nel 1925-1929 la lunghezza del vestito, la sua forma e le proporzioni cambiarono radicalmente a causa del fatto che la figura da ragazzo divenne l'ideale della bellezza femminile. La forma dell'abito al ginocchio sotto forma di una camicia dritta si adattava a un rettangolo ed era divisa lungo la linea dei fianchi in due parti (Fig. 84, a). Il corpetto era più lungo della gonna per due volte la parte aperta delle gambe costituiva poco meno di un terzo dell'intera figura. Tali proporzioni, abbinate ad un alto cappello calato sulla fronte e a scarpe col tacco alto e dalla punta stretta, rendevano pesante la parte superiore della figura e leggera quella inferiore; la figura sembrava instabile. Alla fine degli anni '60 venne stabilita la lunghezza più corta degli abiti femminili nella storia della moda. Nella forma e nelle proporzioni, gli abiti delle ragazze e delle giovani donne sono simili agli abiti delle ragazze. Le gambe, aperte fino alla metà della coscia, e l'abito sono legati tra loro verticalmente come valori uguali (Fig. 84, 6). Queste nuove proporzioni dell'abito dritto o dal taglio ampio mettono in risalto le gambe, mentre le scarpe con tacco basso o medio largo aggiungono stabilità alla figura. Tutto ciò crea un'immagine giovanile di una donna. Un costume moderno, come uno storico, nella sua composizione è strettamente correlato alla figura, con le sue divisioni e contorni naturali. Usando gli esempi di costumi storici discussi sopra, puoi vedere che i costumi enfatizzano le caratteristiche della figura in modi diversi attraverso un certo schema di proporzioni che crea un'immagine particolare. Ma, di regola, la struttura del telaio artificiale delle cosiddette forme ideali di costume delle epoche passate subordinava il corpo umano al suo modello. Un abito moderno non stravolge la figura e le sue proporzioni, poiché si basa su rapporti liberi con la figura.

Vediamolo con degli esempi. Il tipo classico di abbigliamento moderno è considerato quello le cui divisioni corrispondono più da vicino alla struttura del corpo umano: la scollatura si trova alla base del collo, la manica è cucita all'incrocio del braccio con la spalla , e la sua lunghezza raggiunge la mano o il gomito, la cintura si trova alla linea di vita naturale, la parte inferiore della giacca è all'altezza dei fianchi e la lunghezza dell'intero abito arriva fino alle ginocchia o nasconde completamente le gambe (abito da sera, pantaloni); il volume degli indumenti offre libertà di movimento.

Ogni moda, basata su questo schema, in una certa misura modifica le proporzioni e la silhouette degli abiti e contribuisce quindi a una nuova percezione della figura. Ad esempio, la forma completamente diritta (senza identificare la vita) di un abito da donna con pince allungate e poco profonde rende la figura piatta e geometricamente chiara. Una gonna lunga oltre il ginocchio, una vita leggermente definita, un giromanica basso o una manica intera conferiscono alla silhouette un tocco morbido e femminile.

A cavallo tra gli anni '60 e '70, la lunghezza è cambiata radicalmente nella moda. Questo fatto è associato alla ricerca di un nuovo look di una silhouette femminile e flessibile. Affinché la figura diventi visivamente più alta e più snella, non è sufficiente allungare semplicemente i vestiti:

cambiando la lunghezza si cambiano le proporzioni esistenti nell'abbigliamento.

Come sai, ogni moda inizia con una silhouette. È necessario trovare tali rapporti, proporzioni nell'intera silhouette della figura e del costume che esprimano in modo accurato e chiaro le caratteristiche desiderate dell'immagine femminile.

Pertanto, per la nuova silhouette (primi anni '70 del XX secolo), è stato determinato il seguente schema di proporzioni caratteristico:

testa piccola: i capelli sono ben lisciati, un cappellino segue la forma della testa;

cingolo scapolare di estensione naturale, spesso con la testa della manica rialzata;

il prodotto aderisce perfettamente alla linea del torace;

la vita alta è rivelata dal contorno adiacente dell'indumento o della cintura;

linea dei fianchi levigata; la larghezza della gonna è moderata;

la lunghezza del prodotto arriva alle ginocchia o copre i polpacci (Fig. 85).

All'interno di questo schema, le proporzioni variano in modo specifico per ciascun tipo di abbigliamento e l'allungamento visivo della figura è ottenuto dal contrasto delle proporzioni nel rapporto tra le parti superiore e inferiore della figura. Quindi, allungando il cappotto e il vestito, aumentano la vita, e allungando la gonna del tailleur, accorciano la giacca. L'allungamento visivo può essere ottenuto anche spostando parti di giacche e gonne, abiti e cappotti. Per fare ciò, i dettagli si concentrano sulle spalle e sul petto o in vita, più vicino all'asse centrale.

L'introduzione delle verticali nella composizione dell'abbigliamento crea anche un notevole effetto di forme allungate: chiusure su strisce strette con grande quantità bottoni, linee di costruzione, nervature e pieghe a partire dalla cucitura della spalla o dello scollo, ecc.

Infine, anche le estremità lunghe di una sciarpa, di un foulard o di una cintura stretta esaltano l'allungamento della figura.


Per stabilire le proporzioni desiderate nell'abbigliamento, è importante determinare la lunghezza del prodotto e la posizione della linea di cintura. Nella fig. 86 mostra la stessa figura con lo stesso abito, ma con diverse posizioni della vita. Nella figura a sinistra (Fig. 86, a) la linea di cintura dell'abito è al di sopra della sua posizione naturale; qui il rapporto tra le parti 1 e 2 è 1: 3. Nella figura centrale (Fig. 86, 6) la posizione della linea di cintura del vestito è naturale; il rapporto tra le parti 1 e 2 è 1: 2. Infine, nella figura di destra (Fig. 86, c) la linea talik è al di sotto della sua posizione naturale; qui il rapporto tra le parti 1 e 2 è 1:1. Dal confronto delle figure si nota che la figura di sinistra dà l'impressione di essere più alta delle altre due, mentre quella di destra sembra più tozza. Tali diverse percezioni visive della stessa figura si spiegano con la diversa natura della sua divisione, cioè con la diversa posizione del punto vita di un abito della stessa lunghezza.

È facile vedere che la divisione naturale di una figura proporzionalmente piegata dalla linea di cintura in due parti è espressa dal rapporto della sezione aurea. Approssimativamente la stessa proporzionalità si trova nella divisione dell'abito, dove la linea della vita coincide con la sua posizione naturale sulla figura e la lunghezza arriva fino al ginocchio.

Se il punto vita di un capo viene spostato verso l'alto o verso il basso, la lunghezza dell'abito viene modificata di conseguenza per mantenere proporzioni armoniose.

L'abito nella figura a sinistra è diviso dal punto vita in una parte più piccola e una più grande in contrasto. L'abito nella figura a destra è diviso in due parti uguali, formando un rapporto simile. Nella figura centrale, l'abito è diviso in parti più piccole e più grandi in modo armonioso, poiché questa divisione si avvicina alla sezione aurea. Laddove il rapporto tra le parti grandi e piccole dell'abito è chiaramente espresso, si avverte la dinamica e la chiarezza della divisione, l'abito in questo caso è più espressivo. Se abbiamo a che fare con un rapporto simile tra le parti del vestito, allora si crea l'impressione di monotonia e staticità (vedi la figura a destra, dove la lunghezza del corpetto, della gonna e della parte aperta delle gambe sono uguali tra loro) .

In una silhouette dalla vita definita, la cintura gioca un ruolo importante.

La cintura come elemento della composizione, con la sua posizione - leggermente sopra, leggermente sotto o significativamente sotto la linea di cintura naturale - indica le caratteristiche delle proporzioni del modello. Nel creare proporzioni grande ruolo riproduce il volume delle parti principali dell'abbigliamento.

Se l'abbigliamento si adatta alla figura, rappresenta, per così dire, un calco di essa, se le dimensioni del corpetto, della gonna e delle maniche ripetono le dimensioni corrispondenti della figura, allora le proporzioni di tutti gli indumenti e della figura saranno simili (Fig 87, a). La posizione della linea di cintura in questo caso, rivelata dal disegno del contorno, coincide con la sua posizione naturale sulla figura. La connessione visiva della parte aperta delle gambe con il vestito è organica, poiché la gonna è stretta e non vi è alcuna differenza evidente tra il volume delle gambe e il volume della gonna.

Il lavoro di uno stilista qui può essere in parte paragonato al lavoro di uno scultore che fa una copia dell'originale.Quando un abito non segue la forma del corpo di una persona, ma la forma delle parti principali dell'abito si avvicina nel contorno e nel volume alle parti corrispondenti della figura, le proporzioni dell'abbigliamento nel suo insieme rispetto alle proporzioni della figura saranno vicine ( Fig. 87, 6, c). Come puoi vedere, l'utilizzo di rapporti ravvicinati consente di ottenere un'ampia varietà di forme di abbigliamento; Il lavoro dello stilista diventa più difficile e allo stesso tempo più interessante.

Se il volume e i contorni delle parti principali dell'abbigliamento (corpetto, maniche, colletto, gonna) differiscono in modo significativo dal volume e dai contorni delle parti corrispondenti della figura, le proporzioni dell'abbigliamento e della figura saranno contrastanti. È quando si utilizza la tecnica dei rapporti contrastanti che le capacità del progettista di creare un'ampia varietà di soluzioni di silhouette sono particolarmente ampliate (Fig. 87, d, e).

Si può dire con certezza che le figure ideali sono piuttosto rare. Se la tua figura non è l'ideale, questo non è motivo di complessi e frustrazione. "C'è sempre un difetto nella vera bellezza", ha detto Francesco Bacone.

Ci sono molti modi per migliorare il tuo che conosci. Questo è lo sport nutrizione appropriata, massaggi, ecc. Ma questi metodi richiedono una notevole forza di volontà, non danno risultati immediati e non possono sempre correggere ciò che è geneticamente innato in te per natura. Fortunatamente, abbiamo un altro modo nel nostro arsenale: vestiti opportunamente selezionati. Naturalmente, non risolverà completamente l'intero problema, ma aiuterà sicuramente a enfatizzare i vantaggi e nascondere gli svantaggi. Ma prima di parlare dei metodi di correzione, dovresti determinare il tuo tipo di corpo e quali aree problematiche necessitano di correzione.

Convenzionalmente le figure possono essere suddivise in 7 tipologie:

  • "Hourglass" è un campione figura femminile, che è caratterizzato da superiore e inferiore proporzionali. La larghezza dei fianchi è all'incirca uguale a quella delle spalle, la linea di vita accentuata è più stretta rispetto ai fianchi di oltre 25 cm, la linea dei fianchi è curva, il busto e i glutei sono arrotondati e di uguale volume. Una caratteristica distintiva dei rappresentanti di questo tipo è che anche in caso di notevole aumento di peso, la vita rimane chiaramente definita. E anche la magrezza pronunciata non impedisce ai fianchi di mantenere la loro curva morbida.

Quando si scelgono i vestiti, il compito principale è enfatizzare la femminilità della propria figura, ripetendo le curve morbide della silhouette.

  • "Triangolo base verso l'alto" - Le donne con questo tipo di figura sono caratterizzate da spalle larghe su uno sfondo di fianchi stretti, l'assenza di una vita chiaramente definita (la differenza nel volume della vita e dei fianchi è inferiore a 25 cm), spesso seni grandi, bacino stretto e glutei quasi piatti. Parte in alto il corpo può essere leggermente più corto di quello inferiore. A volte una parte superiore massiccia è adiacente a gambe sottili. Questo è il tipo di figura che ha la maggior parte delle atlete.

Quando si scelgono i vestiti, il compito principale è ingrandire visivamente parte inferiore corpo e ridurre visivamente la larghezza delle spalle.

Quando si scelgono i vestiti, il compito principale è aumentare visivamente la larghezza delle spalle, enfatizzare il busto e rimuovere visivamente l'enfasi dalla parte inferiore della figura.

  • Il “rettangolo allungato” è un tipo di corpo caratterizzato da crescita elevata, fisico magro e ossuto, fianchi e spalle stretti, seno non definito, vita non definita. L'altezza è spesso superiore alla media, le braccia e le gambe sono piuttosto lunghe, ma proporzionali. In generale, queste donne danno l'impressione di fragilità ed eleganza.

Quando si scelgono i vestiti, il compito principale è creare l'illusione delle forme, per ottenere l'effettolinee morbide e voluminose.

  • "Rettangolo stabile" - questo tipo di figura è caratterizzato da un fisico con ossatura larga, dominanza "piatta" della figura. La larghezza dei fianchi e delle spalle è uguale, la vita non è pronunciata. Di norma, il peso in eccesso è distribuito uniformemente in tutto il corpo. Di profilo e di fronte, la figura ha contorni simili. In generale, queste donne danno l'impressione di essere massicce e voluminose.

Quando si scelgono i vestiti, il compito principale è definire il punto vita e ottenere l'effetto di linee morbide e voluminose.

  • “Figura 8” è una donna rotonda, “a forma di chitarra”. Sono caratterizzati da una linea delle spalle femminile, gambe snelle sotto il ginocchio, ma dominano i volumi del petto e dei fianchi con una vita ben definita (la differenza di volumi è di oltre 30 cm). Questo tipo può essere chiamato “grande clessidra”

Quando si scelgono i vestiti, il compito principale, come per una clessidra, è enfatizzarefemminilità della tua figura, ripetendo le curve morbide della silhouette.

  • "Ovale" - I proprietari di questa figura sono donne grassocce il cui volume della vita è più grande del busto e dei fianchi. L'altezza può essere qualsiasi, ma molto spesso inferiore alla media.

Quando si scelgono i vestiti, il compito principale è allungare visivamente la figura utilizzando cuciture, linee e rifiniture verticali longitudinali.

Conosci il tuo tipo di corpo? Sai come enfatizzare i tuoi punti di forza e nascondere le tue debolezze?

L'articolo utilizza le immagini del libro "Style and Color" di Veronique Henderson e Pat Henshaw.

Hai perso la pagina per sbaglio? E se non sei iscritto alla mailing list del progetto “More than Style”, registrati utilizzando il link sottostante e ricevi un regalo!

L'immagine del demone nella poesia "Demone" è un eroe solitario che ha trasgredito le leggi del bene. Disprezza i limiti dell'esistenza umana. M.Yu.Lermontov per molto tempo ha lavorato alla sua creazione. E questo argomento lo ha preoccupato per tutta la vita.

L'immagine del Demone nell'art

Le immagini dell'altro mondo eccitano da tempo il cuore degli artisti. Esistono molti nomi per Demone, Diavolo, Lucifero, Satana. Ogni persona deve ricordare che il male ha molti volti, quindi devi sempre stare estremamente attento. Dopotutto, i tentatori insidiosi provocano costantemente le persone a commettere azioni peccaminose in modo che le loro anime finiscano all'inferno. Ma le forze del bene che proteggono e preservano l'uomo dal maligno sono Dio e gli Angeli.

L'immagine del Demone nella letteratura dell'inizio del XIX secolo non è solo quella dei cattivi, ma anche dei "combattenti tiranni" che si oppongono a Dio. Tali personaggi furono trovati nelle opere di molti scrittori e poeti di quell'epoca.

Se parliamo di questa immagine nella musica, allora nel 1871-1872. A.G. Rubinstein ha scritto l'opera "Il demone".

M.A. Vrubel ha creato tele eccellenti raffiguranti il ​​demone dell'inferno. Questi sono i dipinti “Demon Flying”, “Demon Seated”, “Demon Defeated”.

L'eroe di Lermontov

L'immagine del Demone nella poesia “Demone” è tratta dalla storia di un esule dal paradiso. Lermontov ha rielaborato il contenuto a modo suo. La punizione del personaggio principale è che è costretto a vagare per sempre in completa solitudine. L'immagine del demone nella poesia "Demone" è una fonte del male che distrugge tutto sul suo cammino. Tuttavia, è in stretta interazione con il principio opposto. Poiché il Demone è un angelo trasformato, ricorda bene i vecchi tempi. È come se si stesse vendicando del mondo intero per la sua punizione. È importante prestare attenzione al fatto che l'immagine del demone nella poesia di Lermontov differisce da Satana o Lucifero. Questa è la visione soggettiva del poeta russo.

Caratteristiche del demone

La poesia si basa sull'idea del desiderio di reincarnazione del Demone. È insoddisfatto del fatto che gli sia stato assegnato il destino di seminare il male. Inaspettatamente, si innamora della georgiana Tamara, una donna terrena. Si sforza in questo modo di superare la punizione di Dio.

L'immagine del demone nella poesia di Lermontov è caratterizzata da due caratteristiche principali. Questo è fascino paradisiaco e mistero seducente. Una donna terrena non può resistere a loro. Il demone non è solo frutto dell'immaginazione. Nella percezione di Tamara, si materializza in forme visibili e tangibili. Viene da lei nei suoi sogni.

È come l'elemento dell'aria e si anima attraverso la voce e il respiro. Manca il demone. Nella percezione di Tamara, "sembra una sera limpida", "brilla silenziosamente come una stella", "scivola senza un suono o una traccia". La ragazza è eccitata dalla sua voce incantevole, la chiama. Dopo che il Demone ha ucciso il fidanzato di Tamara, le appare e le riporta "sogni d'oro", liberandola dalle esperienze terrene. L'immagine del demone nella poesia "Demone" è incarnata attraverso una ninna nanna. Ripercorre la poeticizzazione del mondo notturno, così caratteristica della tradizione romantica.

Le sue canzoni infettano la sua anima e gradualmente avvelenano il cuore di Tamara con il desiderio di un mondo che non esiste. Tutto ciò che è terreno le diventa odioso. Credendo al suo seduttore, muore. Ma questa morte non fa altro che peggiorare la situazione del Demone. Si rende conto della sua inadeguatezza, che lo porta al punto più alto della disperazione.

L'atteggiamento dell'autore nei confronti dell'eroe

La posizione di Lermontov sull'immagine del Demone è ambigua. Da un lato, la poesia contiene un autore-narratore che espone la “leggenda orientale” dei tempi passati. Il suo punto di vista differisce dalle opinioni degli eroi ed è caratterizzato da obiettività. Il testo contiene il commento dell'autore sul destino del Demone.

D'altra parte, il Demone è un'immagine puramente personale del poeta. La maggior parte delle meditazioni del personaggio principale della poesia sono strettamente legate ai testi dell'autore e sono intrise delle sue intonazioni. L’immagine del demone nell’opera di Lermontov si è rivelata consonante non solo con l’autore stesso, ma anche con la generazione più giovane degli anni ’30. Il personaggio principale riflette i sentimenti e le aspirazioni inerenti alle persone d'arte: dubbi filosofici sulla correttezza dell'esistenza, un enorme desiderio di ideali perduti, un'eterna ricerca della libertà assoluta. Lermontov sentiva e sperimentava sottilmente molti aspetti del male come un certo tipo di comportamento della personalità e visione del mondo. Riconobbe la natura demoniaca dell'atteggiamento ribelle nei confronti dell'universo con l'impossibilità morale di accettarne l'inferiorità. Lermontov è stato in grado di comprendere i pericoli nascosti nella creatività, a causa dei quali una persona può immergersi in un mondo immaginario, pagandolo con indifferenza verso tutto ciò che è terreno. Molti ricercatori notano che il demone nella poesia di Lermontov rimarrà per sempre un mistero.

L'immagine del Caucaso nel poema “Demone”

Il tema del Caucaso occupa posto speciale nelle opere di Mikhail Lermontov. Inizialmente, l'azione del poema "Il demone" avrebbe dovuto svolgersi in Spagna. Tuttavia, il poeta lo porta nel Caucaso dopo il suo ritorno dall'esilio caucasico. Grazie agli schizzi di paesaggi, lo scrittore è riuscito a ricreare un certo pensiero filosofico in una varietà di immagini poetiche.

Il mondo su cui vola il Demone è descritto in un modo molto sorprendente. Kazbek è paragonato alla sfaccettatura di un diamante che brillava di neve eterna. “Nel profondo” il Daryal annerito è caratterizzato come la dimora del serpente. Le verdi sponde dell'Aragva, la valle del Kaishaur e il cupo monte Gud sono lo scenario perfetto per la poesia di Lermontov. Gli epiteti accuratamente selezionati sottolineano la natura selvaggia e la potenza della natura.

Quindi vengono raffigurate le bellezze terrene della magnifica Georgia. Il poeta concentra l’attenzione del lettore sulla “terra terrena” vista dal Demone dall’alto del suo volo. È in questo frammento di testo che le righe si riempiono di vita. Qui appaiono vari suoni e voci. Successivamente, dal mondo delle sfere celesti, il lettore viene trasportato nel mondo delle persone. Il cambio di prospettiva avviene gradualmente. La pianta generale lascia il posto a un primo piano.

Nella seconda parte, le immagini della natura vengono trasmesse attraverso gli occhi di Tamara. Il contrasto tra le due parti sottolinea la diversità: può essere sia violento che sereno e calmo.

Caratteristiche di Tamara

È difficile dire che l'immagine di Tamara nella poesia "Il demone" sia molto più realistica del demone stesso. Il suo aspetto è descritto da concetti generalizzati: sguardo profondo, gamba divina e altri. La poesia si concentra sulle manifestazioni eteree della sua immagine: il sorriso è “sfuggente”, la gamba “fluttua”. Tamara è caratterizzata come una ragazza ingenua, che rivela i motivi dell'insicurezza infantile. Viene descritta anche la sua anima: pura e bella. Tutte le qualità di Tamara (fascino femminile, armonia spirituale, inesperienza) dipingono un'immagine di natura romantica.

Quindi, l’immagine del demone occupa un posto speciale nell’opera di Lermontov. Questo argomento interessava non solo a lui, ma anche ad altri artisti: A.G. Rubinstein (compositore), M.A. Vrubel (artista) e molti altri.

Ti è piaciuto l'articolo? Condividi con i tuoi amici!
questo articolo è stato utile?
NO
Grazie per il tuo feedback!
Qualcosa è andato storto e il tuo voto non è stato conteggiato.
Grazie. Il tuo messaggio è stato inviato
trovato un errore nel testo?
Selezionalo, fai clic Ctrl+Invio e sistemeremo tutto!